L’incremento dell’età media dei pazienti e la difficoltà spesso di reperire un sistema vascolare adeguato al confezionamento di una FAV, ha determinato in emodialisi un uso sempre più frequente del CVC a permanenza e un aumento delle complicanze come le infezioni e i malfunzionamenti da trombosi intrinseche ed estrinseche.
Donna di 50 anni, in emodialisi da circa 3 anni, portatrice di un CVC di Tesio in vena giugulare sx, quale ultimo accesso vascolare a causa dell’esaurimento del patrimonio vascolare periferico. Il CVC era noto, sin dall'epoca del suo impianto, per avere la cannula arteriosa dislocata in vena anonima di destra. Gli infruttuosi tentativi di riposizionare la cannula e l’osservazione di buoni flussi ematici, avevano fatto soprassedere all’idea di sostituzione, fino a quando, dopo circa 2 anni, si assisteva ad una progressiva e completa ostruzione della cannula dislocata. Il tentativo di rimozione chirurgica risultava impraticabile per la dimostrazione alla angio-TC del completo inglobamento del tip e di buona parte del catetere (circa 5 cm) alla parete del vaso. Abbandonata la scelta di lasciare in sede la cannula dislocata per le prospettive di trapianto della paziente, si tentava la rimozione endovascolare. Uno stent con accesso attraverso la vena succlavia destra veniva condotto in vena anonima destra fino a raggiungere il tip del CVC. Un palloncino da angioplastica gonfiato nel lume del CVC, permetteva allo stent di procedere attraverso la parete del vaso fino ad ottenere la liberazione e la successiva estrazione percutanea del CVC.
Il Fibrin Sleeve, in presenza di prolungata cateterizzazione e ridotto flusso ematico, può condurre a fenomeni di aderenza tissutale pericolosi e di difficile risoluzione e suggerisce di correggere prontamente le dislocazioni vascolari. Una gestione efficace dell’accesso vascolare per emodialisi nasce dalla collaborazione del Nefrologo con il Radiologo Interventista ed il Chirurgo Vascolare.