La terapia di induzione con thymoglobuline è piu’ efficace del basiliximab nei riceventi di trapianto renale da cadavere ad aumentato rischio di rigetto acuto. Non esistono tuttavia studi che abbiano monitorato in modo seriato l’andamento concomitante dell’alloreattività cellulare T e degli alloanticorpi circolanti per esaminare se gli effetti immunologici persistano a distanza di anni dal trapianto.
Abbiamo incluso una coorte consecutiva di riceventi di trapianto renale da cadavere eseguiti a Parma (19 trattati con thymoglobuline e 17 con basiliximab) che sono stati monitorati prospetticamente con IFN-gamma ELISPOT (cellule T alloreattive) e con Luminex SAB (alloanticorpi HLA) pre-trapianto e a 1, 2, e 3 mesi e ogni 6 mesi sino a 36 mesi post-trapianto. Abbiamo usato modelli lineari generalizzati di regressione multipla per misure ripetute, aggiustati per fattori di confondimento (dati anagrafici di donatore e ricevente, rischio immunologico, e terapia di mantenimento) per esaminare il diverso andamento temporale (lineare e non-lineare) di eGFR, IFN-gamma ELISPOT, e Luminex SAB, confrontando thymoglobuline e basiliximab.
Nei riceventi le thymoglobuline, l’eGFR mostrava un persistente incremento oltre l’anno dal trapianto non osservato col basiliximab (differenza di trend non-lineare: P=0.032). Il trend della prevalenza degli alloanticorpi era decrescente nei riceventi di thymoglobuline e crescente dei riceventi del basiliximab (P=0.056). Nel corso del follow-up, i valori di IFN-gamma ELISPOT erano numericamente inferiori ma non significativamente diversi nei riceventi le thymoglobuline rispetto ai riceventi il basiliximab.
I risultati siggeriscono che la terapia di induzione con thymoglobuline, rispetto a quella con basiliximab, sia associata ad una maggiore inibizione dell’alloreattivita’ che persiste a tre anni di distanza di tre anni dal trapianto. Studi su piu' ampia scala sono necessari per confermare i nostri risultati.