Dagli studi presenti in letteratura, si desume che, l’adozione di una dieta a contenuto proteico molto ridotto (0.3 gr/kg) supplementata con aminoacidi essenziali e cheto analoghi (sVLPD), consente di rinviare l’inizio del trattamento dialitico nei pazienti giunti ad una fase di uremia severa in quanto riduce i sintomi dell’uremia stessa, rallenta la progressione della malattia renale e migliora l’assetto metabolico: migliora, infatti, il controllo della pressione arteriosa, calano la fosforemia e l’azotemia, si riduce il fabbisogno di eritropoietina (Fig.1). Ciò ha un impatto positivo anche sulla qualità di vita di questi pazienti e determina un rilevante contenimento dei costi gestionali relativi. Il Servizio Sanitario Nazionale ne riceve,infatti, un cospicuo beneficio economico: dell’ordine del 77% per quanto attiene l’emodialisi (HD) e del 72 % per quanto attiene la dialisi peritoneale (DP). Si consideri, inoltre, che nei pazienti che aderiscono alla sVLPD si riduce il numero delle ospedalizzazioni.
Il nostro studio è stato condotto per verificare l’adottabilità della sVLPD al fine di rinviare l’inizio del trattamento dialitico nella popolazione ultrasettantenne residente nella provincia di Udine.
La tabella 1 indica i criteri di eleggibilità e la tabella 2 i criteri di esclusione dallo studio. Sono stati considerati, ai fini di una possibile inclusione nello studio, 51 pazienti (età media 80.4 anni): 27 maschi e 24 femmine.
La tabella 3 illustra le caratteristiche della dieta che sarebbe stata proposta ai pazienti arruolati nello studio.
TABELLA 3: Composizione della Dieta sVLPD:
Nessuno dei pazienti considerati rientrava nei criteri necessari per essere arruolato nello studio (Fig. 2): 35 pazienti (68.6%) erano affetti da insufficienza cardiaca, 21 pazienti (41.2%) erano portatori di neoplasia maligna, in 8 soggetti (15.7%) la proteinuria era maggiore di 3 gr/die, 5 pazienti (9.5%) erano affetti da malattia polmonare cronica con stabile necessità di ossigenoterapia, 1 paziente (2%) era affetto da insufficienza epatica. Due o più criteri di esclusione coesistevano in 19 soggetti (37%).
I nostri dati dimostrano che, almeno nel nostro bacino di utenza, è molto difficile arruolare pazienti ultrasettantenni, affetti da uremia in fase pre-dialitica, allo scopo di ritardare l’inizio del trattamento sostitutivo della funzione renale grazie all’adozione di una sVLPD: l’elevata frequenza di severe comorbilità ha reso, infatti, non praticabile, questo tipo di approccio. Poiché, però, noi riteniamo estremamente promettente questa terapia dietetica, cercheremo, in prossimi studi, di estenderla a pazienti più giovani che, verosimilmente, più motivati e meno gravati da patologie che ne costituiscono criterio di esclusione, saranno più facilmente arruolabili per aderire a questo tipo di approccio terapeutico.
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