Il successo della DP nel trattamento dello scompenso cardiaco refrattario (SC) dipende dalla funzione renale residua, dall’intake idrosalino (sete), dall’UF peritoneale che a sua volta dipende dalla formazione di ascite e dalla permeabilità peritoneale e dalle complicanze del trattamento quali l’iponatriemia. La prescrizione dialitica ottimale è dibattuta.
Il caso clinico che riportiamo, integrato dall’analisi della letteratura sulla prescrizione DP in corso di SC, ne riassume la flessibilità.
Paziente di 45 anni affetta da insufficienza cardiaca (FE 18%) secondaria a miocardio non compattato, dermatomiosite e diabete. Segnalata in condizioni terminali per anasarca con ascite imponente viene sottoposta a inserzione di catetere per dialisi peritoneale.
FASE 1 (iniziale). Dopo l’intervento sono drenati 6000 ml di ascite ematica. Raggiunto il punto zero la formazione quotidiana di ascite si riduce progressivamente fino a circa 100 ml/die.
FASE 2 (mantenimento). A 31 giorni dall’inserzione del catetere è a domicilio dei genitori, la madre viene addestrata allo scarico, dapprima quotidiano poi ogni 2 giorni, della sola ascite. Furosemide e canrenone a dosi elevate, l’ascite drenata correla con il peso corporeo (da assente fino a 400 ml). La diuresi è elevata per l’impossibilità a contenere una sete tremenda. Il problema principale è lo sviluppo di iponatriemia severa (<115 meq/L) che ha richiesto diversi ricoveri e l’utilizzo del tolvaptan. Il GFR misurato si mantiene soddisfacente.
FASE 3 (anuria, APD full dose). Ad 1 anno e 24 giorni sviluppo rapido di anuria/uremia. Inizio APD effettuata da badante (10 Litri 2,27%+2,5 L AA per la notte e 700 ml di ICO per il giorno: UF notturna di 1150 ml e diurna di 300 ml), mantenimento del peso, natriemia sempre >125 mEq/L.
La paziente è tornata a vivere in famiglia.
L’utilizzo della APD consente a 19 mesi un buon controllo del bilancio idrosalino e della natremia.