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Miscellanea

Un'esperienza di CAPD gestita
con l'aiuto di Volontari

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INTRODUZIONE

Già alla fine degli anni '90 con il progressivo innalzamento dell'età media dei pazienti hanno iniziato ad emergere importanti problematiche sia di tipo clinico e che di tipo gestionale nell'ambito del trattamento dialitico peritoneale. Nel nostro Centro per affrontare tali problematiche cliniche e sociali e consentire a pazienti sempre più compromessi di effettuare un trattamento dialitico sostitutivo in ambito domiciliare altrimenti impossibile, si è attivato tra il 1999 e il 2007 un servizio di volontari denominato ASPAD (Associazione a Sostegno di Pazienti in Dialisi).

CASISITICA E METODI

I volontari che appartenevano all'ASPAD venivano innanzitutto sottoposti ad adeguato addestramento da parte del personale infermieristico della Clinica Nefrologica dell'Ospedale San Gerardo e successivamente, secondo turni prestabiliti che comportavano un impegno di circa 3 ore settimanali, si recavano al domicilio dei pazienti dove eseguivano 2 scambi di dialisi peritoneale al giorno, la medicazione dell'exit-site ed all'occorrenza servizio di supporto generico.

Questa esperienza ha così consentito al nostro Centro di trattare con CAPD 11 pazienti di età media pari a 79.5 anni (58-92) affetti da uremia terminale da diverse cause per lo più di verosimile origine nefroangiosclerotica (Figura 1) ed affetti da plurime comorbidità in particolare di natura cardiovascolare (Figura 2).

La durata media di trattamento dialitico sostitutivo peritoneale per ciascun paziente è stata di 13 mesi (2-32) con una media di 222 scambi per paziente ed un totale di 2445 scambi effettuati dai volontari (Figura 3).

RISULTATI

Nel corso dei 9 anni di osservazione per un totale di 144 mesi/paziente ed una media di 2 pazienti trattati all'anno, abbiamo riscontrato una frequenza media di peritoniti di 1:15 mesi/paziente (n = 10), una frequenza media di infezioni dell'exit-site di 1:26 mesi/paziente (n = 5) ed una frequenza media di ricoveri ospedalieri di 1:5 mesi/paziente (n = 28) correlati sia a complicanze del trattamento dialitico peritoneale che alle altre comorbidità presenti.

DISCUSSIONE

Questi risultati se confrontati con le raccomandazioni delle linee guida internazionali possono apparire decisamente sfavorevoli ma vanno analizzati e valutati tenendo in considerazione il fatto che eravamo di fonte a pazienti decisamente compromessi dal punto di vista generale, di età mediamente avanzata ed affetti da plurime e severe comorbidità; oltre a ciò erano pazienti privi di un contesto familiare e sociale adeguato che li potesse supportare. Ne consegue che questi soggetti non avrebbero potuto effettuare trattamento dialitico domiciliare senza l'aiuto dei volontari appartenenti all'associazione.

Volevamo quindi presentare questa nostra esperienza positiva per mostrare che, pur in questo nuovo contesto clinico e sociale in cui ci troviamo a lavorare, è possibile, anche avvalendosi dell'aiuto di associazioni di volontari, continuare a proporre metodiche domiciliari a basso costo con successo, garantendo nel contempo a questa tipologia di pazienti una discreta qualità della vita.

release  1
pubblicata il  03 maggio 2016 
da G Torti¹, P Fabbrini¹, F Pieruzzi¹-², P Mariani¹, E. Casiraghi¹, V Sala³, A Binaggia¹-², S Sirtori¹-², P Casati⁴, A Stella¹-²
(¹Clinica Nefrologica ASST Monza Ospedale San Gerardo; ²Università degli Studi di Milano Bicocca; ³ASST Valtellina e Alto Lario Presidio, Ospedaliero di Sondrio; ⁴ASPAD Associazione a Sostegno dei Pazienti in Dialisi)
Parole chiave: comorbidità, terapia domiciliare
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