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Selezione dei pazienti, complicanze non infettive e peritoniti

Le complicanze non infettive

presentazione

Figura 1 di 42.



Figura 2 di 42.



Figura 3 di 42.

Parleremo delle principali complicanze non infettive della dialisi peritoneale. Alcuni di questi temi  saranno approfonditi nelle prossime relazioni, pertanto li sorvoleremo in parte.



Figura 4 di 42.

In questa survey di Van DijK del 2005 (Van Dijk CM et al [1] (full text). Perit Dial Int. 2005 Jul-Aug; 25 (4): 367-73) su 1864 pazienti in dialisi peritoneale in USA e Canada con osservazione di 12 mesi tra le complicanze a carico della parete addominale, le ernie si verificavano con maggiore prevalenza (64. 4%) seguite dall’infiltrazione della parete addominale 25. 3% e dall’idrotorace 6%. Analizzando le caratteristiche dei pazienti considerati non sembrava essere presente una maggiore frequenza di ernie in relazione all’incremento del volume riempimento né al tipo di modalità dialitica mentre sembrava esserci una maggiore predisposizione verso le ernie del sesso maschile.



Figura 5 di 42.

Qui vediamo elencate le varie tipologie di ernia della parete addominale riportate nei report dei vari autori.



Figura 6 di 42.

Nella stessa survey di Van DijK del 2005 (Van Dijk CM et al [1] (full text). Perit Dial Int. 2005 Jul-Aug; 25 (4): 367-73), le ernie della parete addominale raggiungevano il 60. 4% di tutte le complicanze considerate. La prevalenza maggiore era quella delle ernie inguinali (41% circa) seguita dalle ernie ombelicali (31% circa), e da quelle ventrali (22. 8%). L’autore metteva in evidenza come i pazienti con malattia renale cistiche autosomica dominante avessero un rischio nettamente aumentato.



Figura 7 di 42.

Proviamo a identificare insieme i principali fattori di rischio per le ernie della parete addominale. In questo studio recente di Gracia Toledo ( M. Gracia Toledo et al. Nefrologia 2011;31(2):218-219) su 146 pazienti, equamente distribuiti fra CAPD e APD, il pool di pazienti in esame è caratterizzato per stessa ammissione degli autori da una modesta prevalenza di malattia policistica (2 casi), e differentemente da altre casistiche con nessuna osservazione di ernie incisionali o in sede di inserzione del catetere. La frequenza di ernie in questa casistica è paragonabile a quelle di altri studi. L’unico fattore significativamente correlato con la predisposizione a sviluppare ernie è una storia di ernie addominali prima dell’inclusione nello studio. In linea di massima i pazienti con ernie avevano un’età media di circa dieci anni superiore a quelli senza ernie, mentre non sembrava esserci correlazione con una precedente storia di chirurgia addominale.



Figura 8 di 42.

In questo studio di Del Peso del 2003 (Del Peso G et al [2]. Perit Dial Int. 2003 May-Jun;23(3):249-54.) su 142 pazienti, 53 pazienti hanno sviluppato ernie e/o leakage. 39 pazienti hanno sviluppato ernia della parete addominale e 63 pazienti leakage. 17 pazienti hanno mostrato entrambe le complicanze addominali. Erano maggiormente a rischio per complicanze della parete addominale i pazienti affetti da rene policistico e pazienti con più alto BMI. Ernie e leakage sembravano più frequenti nei pazienti in CAPD.



Figura 9 di 42.

La malattia renale policistica era il solo fattore associato ad un più alto tasso di ernie. Non sembravano esserci correlazioni tra lo sviluppo di ernie e il volume di riempimento addominale. Le ernie più frequenti erano localizzate nella regione ombelicale Il tasso di ernie era più alto nei pazienti trattati solo con CAPD rispetto a quelli in cui era usata soltanto APD, anche se non si raggiungeva la significatività. (Del Peso G et al [2]. Perit Dial Int. 2003 May-Jun;23(3):249-54.)



Figura 10 di 42.

La malattia renale policistica era il solo fattore associato ad un più alto tasso di ernie. Non sembravano esserci correlazioni tra lo sviluppo di ernie e il volume di riempimento addominale. Le ernie più frequenti erano localizzate nella regione ombelicale Il tasso di ernie era più alto nei pazienti trattati solo con CAPD rispetto a quelli in cui era usata soltanto APD, anche se non si raggiungeva la significatività. (Del Peso G et al [2]. Perit Dial Int. 2003 May-Jun;23(3):249-54.)



Figura 11 di 42.

Un questo studio del 1998 pubblicato  in Advances in PD Hussein (Hussain SI et al. [3] Adv Perit Dial 1998;14:105) mostra una larga casistica che raccoglie 656 pazienti in totale trattati in dialisi peritoneale nell’arco di 15 anni di questi circa il 12% aveva sviluppato ernie della parete addominale. Secondo l’autore la formazione di ernie era più comune nei maschi rispetto alle femmine e in pazienti non diabetici in raffronto a pazienti diabetici. Peraltro non sembrava esservi anche in questo caso una correlazione tra l’incremento dei volumi di scambio e il rischio di ernie della parete addominale. L’autore riportava invece come vi fosse in dialisi peritoneale automatizzata una minore incidenza (circa il 5%) dello sviluppo di ernie rispetto ai pazienti in CAPD (13%) , dato che in realtà non sempre è stato confermato nelle  casistiche di altri autori. Questa differenza, secondo Hussain poteva essere legata al fatto che i pazienti in APD fossero esposti a più importanti volumi di dialisato durante il clinostatismo rispetto ai pazienti in CAPD che lo erano invece durante l’ortostatismo



Figura 12 di 42.

Il capofila della misurazione della pressione intraperitoneale è senz’altro Durand. In questo lavoro del 1994 (F.Y. Durand et al. [4] APD: Clinical Measurement of the Maximal Acceptable Intraperitoneal Volume Adv Perit Dial. 1994; 10:63-37) mostra come vi sia una relazione diretta tra la pressione intraperitoneale e il volume di riempimento della cavità addominale. Nel lavoro del 1992 di un pool di 27 pazienti mostra come, con tutti i limiti legati alla modesta numerosità del campione, anche Durand nota come non vi sia alcuna differenza significativa riguardo la pressione intraperitoneale nei due gruppi considerati, rispettivamente di 18 e di 9 pazienti, in cui il secondo gruppo di pazienti presenta vari tipi di complicanze fino ad allora ritenute in possibile relazione con l’incremento della pressione endo-addominale (in particolare leakage, ernie, reflusso gastro-esofageo, ernia iatale).



Figura 13 di 42.

E veniamo alla diagnostica di ernie e leakage della parete addominale.

L’indagine ultrasonografica è uno strumento diagnostico usato per l’esame delle ernie genitali. La visualizzazione in tempo reale della peristalsi di un’ansa intestinale erniata, conferma la natura dell’ernia.

L’applicazione degli ultra-sonografia è limitata però dal fatto che il sacco erniario è talora vuoto quando è presente solo un piccolo difetto fasciale.

Il valore della tradizionale erniografia nell’investigare le cause dell’edema genitale nei pazienti in CAPD è discutibile. Sebbene la sensitività e la specificità siano state riportate come essere elevate 96.6% e 98.4%, l’elevato tasso di falsi positivi 18.7% e di falsi negativi 7.9% rendono le radiografie piane strumenti non efficaci. Inoltre circa il 2% dei pazienti sottoposti a radiografia con mezzo di contrasto iodato, sviluppano una sindrome da dolore addominale post-erniografia.

La tomografia computerizzata peritoneale è ideale per delineare l’esatto sito anatomico sia delle ernie sia del leakage del dialisato. La sua alta specificità e sensitività permettono una precisa di dimensionare localizzazione del difetto peritoneale. Con un taglio a 5 mm dello scan gli difetti della parete addominale e inguinale sono i identificati accuratamente.

Queste informazioni permettono di costruire un preciso piano d’azione chirurgica.

In questo case-report del 1984 Twardowski (Twardowski ZJ et al. [5] Computerized tomography in the diagnosis of subcutaneous sites during continuous ambulatory peritoneal dialysis. Periton Dialys Bull 1984;4:163-66.) propone per la prima volta la tomografia computerizzata con mezzo di contrasto intraperitoneale o  peritoneografia per l’identificazione di ernie e di infiltrazioni di dialisato attraverso la parete addominale, presentando due casi clinici,  uno esordito con edema inguino scrotale, l’altro con edema della parete addominale e vulvare. Nel primo caso si indentificava un’ernia inguinale diretta, successivamente riparata chirurgicamente, nel secondo caso un’ernia incisionale nella sede di un pregresso posizionamento di catetere peritoneale. Queste sono le immagini originali dell’articolo.



Figura 14 di 42.

La tomografia computerizzata permette oggi di ottenere immagini di ottima qualità. La tecnica è quella della peritoneografia, la cui procedura di esecuzione prevede l’iniezione di 100 cc di mdc in 2 litri di soluzione, che viene caricato successivamente in cavità addominale. L’esame radiologico è effettuato dopo circa 2 ore di sosta in addome con scansioni di 5 mm. A sinistra l’individuazione di un’ernia della parete addominale. A destra, l’infiltrazione di dialisato attraverso la parete.



Figura 15 di 42.

In questo caso clinico, un paziente con pregressa importante chirurgia dell’addome (protesi totale di aorta addominale) e residuo laparocele, la peritoneografia non solo mostra la posizione della breccia all’origine dell’infiltrazione sopraombelicale di dialisato (in sede di riparazione pregressa ernia con rete di contenimento), ma mette in evidenza anche la presenza di un’ernia incisionale mediana sottoombelicale, misconosciuta.



Figura 16 di 42.

Nello stesso paziente anche la RMN ha aiutato nella diagnostica, da un lato indicando una breccia sul margine superiore della rete di contenimento posta in un precedente intervento di ernioplastica, dall’altro mostrando con ottima definizione la sede dell’ernia sottoombelicale.



Figura 17 di 42.

In effetti vi sono report che propongono la cosiddetta “idrografia” con risonanza magnetica che è in grado di ben visualizzare la differenza di densità dei tessuti infiltrati, anche senza la necessità di mezzo di contrasto.(Fenollosa MA et Al. [6] [6]Nefrologia. 2006;26(6):726-33.)



Figura 18 di 42.

Oltre alla peritoneografia, vari autori propongono la scintigrafia con Tc99 nella diagnostica di ernie e leakage della parete addominale La scintigrafia delle ernie addominali e scrotali è stata considerata una metodica di indagine alternativa. La sua specificità decresce a circa 66% se sono presenti contemporaneamente edema scrotale e addominale. Questo case-report del 1984 di Ducassou (D. Ducassou et al [7]. J Nucl Med 25: 68-69,1984) è uno dei primi a proporre la scintigrafia con tecnezio 99 nella diagnostica delle ernie della parete addominale presentando un caso di ernia inguino-scrotale in un paziente in dialisi peritoneale, con evidente edema dei genitali e dello scroto.



Figura 19 di 42.

Negli anni successivi è possibile reperire ulteriori case reports, come per esempio questo di Walker del 1988 , (Walker JV et al. [8] J Nucl Med 29: 1596-1602,1988) che presenta quattro casi relativi a complicanze della parete addominale in pazienti in dialisi peritoneale. Qui sono riportati due di questi: sulla sinistra un caso di comunicazione peritoneo-pleurica con accumulo di radionuclide in corrispondenza del diaframma destro effettivamente valutabile a distanza di 20 h dall’inizio della diagnostica. Le immagini di destra si riferiscono invece nuovamente all’identificazione di una ernia inquino-scrotale in proiezione laterale e antero-posteriore.



Figura 20 di 42.

E’ altrettanto proposta da Fenollosa (Fenollosa MA et Al. [6]Nefrologia. 2006;26(6):726-33.) la RMN nella individuazione di ernie inguinoscrotali.



Figura 21 di 42.

L’infiltrazione di dialisato nel retroperitoneo è un’entità patologica piuttosto rara. In questo articolo del 2009 Lam (Lam MF et al [9]. Perit Dial Int. 2009 Sep-Oct;29(5):542-7.) riporta la personale casistica riguardo questo tipo di complicanza, già preliminarmente discussa nel 2004  in un altro articolo, sempre di Lam, su PDI. L’autore ritiene che in ogni caso di brusca perdita dell’ultrafiltrazione in dialisi peritoneale debba essere sospettata una infiltrazione retro peritoneale di dialisato. Su un pool complessivo di 743 pazienti osservati nel corso di cinque anni questo tipo di complicanze si è verificato in 23 pazienti equivalenti al 3% di tutto il pool. L’autore ha ritenuto di identificare come fattori di rischio per il leakage retroperitoneale la pregressa insorgenza di ernie o di fistole retro peritoneali. Per quanto riguarda la diagnostica l’autore ritiene di preferire la risonanza magnetica rispetto alla tomografia computerizzata dal momento che il dialisato può essere utilizzato come mezzo di contrasto, mentre la tomografia computerizzata richiede la somministrazione di mezzo di contrasto nella cavità peritoneale. Inoltre la risonanza magnetica sembra essere più sensibile. Il valore diagnostico della scintigrafia peritoneale con radioisotopi ritenuta in passato assai utile nell’individuare il leakage peritoneale non è noto nell’infiltrazione retro peritoneale. Dal punto di vista terapeutico l’interruzione temporanea della dialisi peritoneale e il passaggio a emodialisi può essere ritenuto utile. L’approccio chirurgico è assai difficoltoso dal momento che non è quasi mai possibile identificare con precisione il punto di infiltrazione.



Figura 22 di 42.

La tomografia computerizzata si rivela utile anche nella diagnosi di complicanze meno frequenti tra cui le ernie attraverso il forame di Morgagni, che possono assumere la presentazione di una massa mediastinica. In questo caso, la Tomografia computerizzata mostra una raccolta di mezzo di contrasto adiacente all’atrio destro La radiografia del torace mostra una massa iuxtacardiaca localizzata a destra dell’angolo cardio frenico.( Polk D et al. Perit Dial Int 1996 May-Jun vol. 16 no. 3 318-32)



Figura 23 di 42.

La terapia delle ernie e dei leakages è chirurgica. Interessante a questo proposito è il recente studio di Martinez-Mier, pubblicato nel 2008 su PDI (Martinez-Mier G et al. [10] [10]Perit Dial Int 2008 Jul-Aug;28(4):391-6) in cui sono mostrati retrospettivamente gli dati relativi al trattamento con ernioplastica di 58 casi nel corso di quattro anni, su 50 pazienti osservati, in dialisi peritoneale. Si erano verificate 15 complicanze totali: quattro infezioni della ferita, due peritoniti, quattro disfunzioni del catetere e cinque re-interventi. Il tasso di recidiva era del 12% in assenza di posizionamento di rete mentre non vi erano recidive nelle ernioplastica con rete. Il trattamento dialitico peritoneale era riavviato nel 96% dei casi entro tre giorni dall’intervento senza il verificarsi di alcun episodio di leakage. I fattori di rischio identificati per le complicanze erano diabete, ridotto peso corporeo, bassa statura, ridotto BMI e bassi livelli di creatinina sierica. In linea di massima, nelle varie casistiche l’ernioplastica con posizionamento di retina riduceva l’incidenza delle recidive, rispetto alla riparazione chirurgica senza rete.



Figura 24 di 42.



Figura 25 di 42.

L’idrotorace è riportato verificarsi dal 2 al 6% dei casi di complicanze non infettive della parete addominale. E’ dovuto a difetti anatomici diaframmatici in genere congeniti ma talvolta acquisiti. Nella porzione tendinea del diaframma possono essere presenti punti di debolezza dovuti all'assenza di fibre muscolari che sono sostituite da una debole rete di collagene. La sede è pressochè esclusivamente destra (eventuali difetti diaframmatici sinistri sono coperti dal cuore e dal pericardio e di conseguenza “naturalmente” tamponati. I sintomi sono rappresentati da dispnea ingravescente e da riduzione acuta dell’ultrafiltrazione, anche se il quadro clinico dipende dall'entità del versamento: in genere i piccoli versamenti sono asintomatici.



Figura 26 di 42.

La diagnostica si basa sull’Rx torace, mentre la toracentesi  permette di valutare l’eventuale presenza di trasudato con gradiente di glucosio tra il liquido pleurico e il siero, che alcuni autori, tra cui Chow (Chow KM et al. [11] Perit Dial Int. 2002 Jul-Aug;22(4):525-8.) hanno ritenuto di identificare, in > 50 mg/dl

La diagnosi differenziale deve essere fatta con le altre cause di trasudato pleurico quali: insufficienza cardiaca congestizia, ipoalbuminemia e sovraccarico idrico.



Figura 27 di 42.

La TC peritoneografia è altrettanto utile nel’evidenziare punti di passaggio tra la cavità peritoneale e quella pleurica. L’idrotorace può verificare precocemente o tardivamente, verosimilmente in relazione alla capacità di resistere all’incremento pressorio endoaddominale dovuto alla DP, in pazienti caratterizzati da fattori di rischio quali: la nefropatia policistica, la precedente chirurgia addominale e la multiparità . Un altro possibile meccanismo chiamato in causa nella genesi dell'idrotorace è rappresentato da un'alterazione del drenaggio linfatico, anche se più frequentemente le moderne tecniche di imaging hanno messo in evidenza la presenza di punti di passaggio, come in questo caso.



Figura 28 di 42.

E’ proposta la RMN sempre da Fenollosa (Fenollosa MA et Al. [6]Nefrologia. 2006;26(6):726-33.) nella individuazione di brecce diaframmatico peritoneali.



Figura 29 di 42.



Figura 30 di 42.

  • approccio conservativo: interruzione DP (2-6 sett) (spontanea risoluzione nel 53% PZ) (Chow KM et al [12]. 2003).
  • La pleurodesi chimica (instillazione pleurica  sostanze sclerosanti (talco, sangue autologo, etc) -> reazione infiammatoria e una fibrosi pleurica che può obliterare la comunicazione peritoneo-pleurica.  Report successi del 47% (Fernando SK et al [13], 2006) •
  • toracoscopia video-assistita (Video-Assisted Thoracoscopy Surgery - VATS), procedura minimamente invasiva: eccellente visualizzazione pleura parietale e superficie diaframmatica, diretta sutura delle brecce diaframmatiche. In corso di VATS è anche possibile effettuare la pleurodesi chimica (Lang CL et al, [14] 2008). La pleurodesi chimica in corso di VATS offre il vantaggio di una più uniforme distribuzione delle sostanze sclerosanti. Report di > 88% successo. Necessario stop di 4 settimane.


Figura 31 di 42.



Figura 32 di 42.

  • Terapia medica: lassativi al fine di ottenere una maggiore pulizia intestinale, antimeteorici, dieta priva di fermentanti, incrementare il volume di riempimento Interventistica:
  • Riposizionamento con sonda flessibile o con fogarty: i risultati dei vari autori non sono omogenei in quanto il tasso di successo si presenta assai variabile. La metodica presenta un certo rischio di contaminazione e di complicanze da lesione dei visceri ed è gravata da frequenti recidive. È difficilmente inoltre sembra in grado di poter risolvere malfunzionamenti del catetere legati semplicemente allo spostarsi del catetere dovuto alla peristalsi intestinale.
  • Riposizionamento in videolaparoscopia •Sostituzione del catetere

Le percentuali di successo, dipendenti dalla perizia dell'operatore, sono variabili e non è pertanto semplice identificare una tecnica di riposizionamento ideale.



Figura 33 di 42.

Dislocazione destra sottoepatica, difficilmente trattabile con la terapia medica.



Figura 34 di 42.

Questa disfunzione del catetere, dislocato medialmente e non responsivo alla terapia medica, era dovuta a trapping omentale, visualizzato e trattato in laparoscopia.



Figura 35 di 42.

Diaz Buxo in un'ampia casistica di cateteri posizionati (1.250 Tenckhoff a due cuffie) è ricorso nel 5,5% dei casi al riposizionamento con con guida flessibile raggiungendo una percentuale di successo nel 60% circa dei casi.(Diaz Buxo et al [15].Clin Nephrol. 1997 Jun;47(6):384-8).



Figura 36 di 42.

Meritevoli di segnalazione sono i dati di Gadallah (Gadallah et al. [16] Am J Kidney Dis. 2000 Feb;35(2):301-5.) (34 dislocazioni su 232 pazienti) che ha ottenuto un successo nel 71% dei casi   riposizionando il tip migrato con l'utilizzo del catetere di Fogarty;

Asif riferisce al contrario scarsi risultati di riposizionamento con il Fogarty optando per un approccio chirurgico tradizionale che prevede la sostituzione del catetere nella stessa seduta operatoria senza discontinuare la dialisi peritoneale (Asif A. [17] Semin Dial. 2004 Sep-Oct; 17 (5) : 398-406).



Figura 37 di 42.

In questo bel lavoro del 2006 pubblicato su NDT, Santarelli (Santarelli S, et al. [18] Nephrol Dial Transplant. 2006 May;21(5):1348-54. Epub 2006 Jan 18) evidenzia come la videolaparoscopia sia una utile metodica chirurgica non solo al momento del posizionamento del catetere per dialisi peritoneale come descritto da molti autori, ma anche una preziosa risorsa per risolvere le malfunzioni del catetere peritoneale, evitando inoltre eventuali recidive grazie a sistemi di fissaggio della porzione intraperitoneale del catetere alla parete addominale.  Sono riportati 21 casi di malfunzioni del catetere trattati con video laparoscopia. Nella tabella sottostante Santarelli riporta la prevalenza delle varie tipologie di malfunzione del catetere: è evidente come sia preponderante il coinvolgimento dell’omento nelle malfunzioni del catetere (in circa il 57%) così come riportato dalla maggior parte di autori in letteratura.



Figura 38 di 42.

Ecco un caso clinico che associa la dislocazione del catetere (tipo di Paolo) con un'ernia della parete addominale anteriore. Il catetere è incarcerato insieme ad un'ansa intestinale. L'intervento in laparoscopia ha permesso di risolvere la situazione. 



Figura 39 di 42.

In questo articolo del del 2007 su PDI, Lew (Lew SQ. [19] Perit Dial Int. 2007 May-Jun;27(3):226-33.) compie una interessante revisione delle casistiche di emoperitoneo in DP pubblicate, focalizzando l’attenzione sulle differenti cause degli episodi di emoperitoneo, ricavandone una estesa tabella eziologica.



Figura 40 di 42.

In questo lavoro retrospettivo del 2008, su una casistica di 132 pazienti osservati in un periodo di 173 mesi, Valenzuela (M.P. Valenzuela et al [20]. Nefrología 2008; 28 (1) 73-76) prende in considerazione 22 pazienti con emoperitoneo di cui 6 con un episodio unico e 16 con episodi ricorrenti. Si riscontra una una significativa maggior frequenza di episodi ricorrenti nel sesso femminile e con età all’avvio del trattamento dialitico più giovane, questa in considerazione delle elevata frequenza di emoperitoneo secondario a ciclo mestruale. In effetti la maggior parte dei casi il 59% era dovuto al ciclo mestruale inoltre tutte le donne con ciclo mestruale presentavano emoperitoneo almeno una volta, con un’alta incidenza di episodi ricorrenti. Sembra anche esserci una relazione con il tempo trascorso in dialisi peritoneale e altrettanto una maggiore frequenza di episodi ricorrenti nei pazienti con malattia policistica renale. D’altra parte non sembravano esservi correlazioni né con con l’assunzione di terapia anticoagulante, antiaggregante e coagulopatie.



Figura 41 di 42.

In questo studio retrospettivo del 1992, Greenberg (Greenberg A et al. [21] Am J Kidney Dis. 1992 Mar;19(3):252-6.) propone una razionalizzazione dell’entità dell’emoperitoneo, suddividendolo in tre categorie lieve moderato e grave, basandosi sia sull’aspetto del dialisato, sia sulla presenza o meno di un eventuale compromissione emodinamica del paziente. Anche nella sua esperienza l’insorgenza di emoperitoneo prevalentemente di grado lieve si verifica in associazione con il ciclo mestruale femminile. Allo stesso tempo soprattutto nelle forme più intense devono essere sempre sospettate patologie endoaddominali anche severe, non ultima la peritonite sclerosante.



Figura 42 di 42.

L’ascite chilosa è una rara complicanze nei pazienti sottoposti a dialisi peritoneale è caratterizzata dalla caratteristica colorazione lattea del fluido peritoneale dovuta a un’alta concentrazione di trigliceridi che originano dalla linfa all’interno della cavità addominale. La ascite chilosa è stata definita come una concentrazione di trigliceridi superiore a 110 mg/dl nel fluido peritoneale sebbene altri autori ritengano di considerarla come tale al di sopra dei 200mg/dl. L’ascite chilosa si verifica in conseguenza di un danno o di un’ostruzione del sistema linfatico e presuppone differenti cause di cui le più comuni nel mondo industrializzato sono le malattie maligne addominali o una cirrosi epatica mentre nei paesi in via di sviluppo hanno una più grande diffusione Le cause infettive come la tubercolosi o la filariasi. Sono state riportate molte altre cause incluse le pancreatiti, le pericarditi costrittive, la sarcoidosi, l’iperplasia linfatica primitiva e i traumi addominali. Anche la sindrome nefrosica può essere associata ad ascite e chilosa e a chilotorace. I calcio antagonisti sembrano anche coinvolti come causa di ascite chilosa nei pazienti sottoposti a dialisi peritoneale.(Cheung CK et al [22]. Perit Dial Int. 2008 May-Jun;28(3):229-31)



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release  1
pubblicata il  22 marzo 2012 
da Gian Maria Iadarola
(S.C. Nefrologia e Dialisi - P. O. Torino Nord Emergenza San Giovanni Bosco - Torino - ASL TO2 )
Parole chiave: complicanze non infettive, dialisi peritoneale, emoperitoneo, ernie della parete addominale, idrotorace, leakage
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