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Il catetere peritoneale: tecniche di inserimento e complicanze

Tecnica standard e tecnica autolocante

presentazione

Figura 1 di 30.



Figura 2 di 30.

Il cartoon mostra l'anatomia della parete addominale anteriore con le strutture anatomiche interessate durante l'intervento di posizionamento del catetere peritoneale. Da notare il decorso dell'arteria epigastrica inferiore che può complicate l'intervento con approccio trans muscolo retto.



Figura 3 di 30.

Illustrazione della parete addominale anteriore in sezione orizzontale. Da notare l'assenza di muscoli sulla linea mediana. Un approccio in tale sede, infatti, è più frequentemente complicato da leakage.



Figura 4 di 30.

Il cartoon mostra le sedi più comuni di intervento. Seccessivamente l'intervento descritto utilizza l'approccio descritto al numero 2.



Figura 5 di 30.

La scelta della tecnica di posizionamento deve tener conto di neventualio situazioni cliniche preesistenti. Ad esempio dei pregressi fallimenti o precedenti peritoniti, indicherebbero una tecnica videolaparoscopica.



Figura 6 di 30.

Anche una corretta valutazione del paziente preoperatoria è indispensabile per una buona riuscita dell'intervento. Necessario indagare eventuali patologie coagulatorie, la presenza di aneurismi dell'aorta addominale, la presenza di diverticoli, ecc.



Figura 7 di 30.

il catetere self locating di Di Paolo.



Figura 8 di 30.

preparazione del campo operatorio. L’accesso alla cavità addominale viene praticato tramite una minilaparotomia paramediana trans muscolo retto, solitamente destra, in anestesia locale. La scelta di questa regione addominale è dettata dal fatto che la presenza del muscolo retto addominale fornisce una protezione verso leakages precoci e tardivi, erniazioni attraverso la parete addominale paracatetere.



Figura 9 di 30.

Esecuzione di anestesia locale da effettuare in momenti diversi quando si attraversano strati della parete diversi. Solitamente vengono usati 30 cc di anestetico locale.



Figura 10 di 30.

incisione della cute e del sottocute fino alla fascia anteriore del muscolo retto.



Figura 11 di 30.

Si isola la fascia anteriore del muscolo retto addominale che viene incisa in senso cranio-caudale per 1-1,5 cm. Esposto il muscolo retto, si divaricano le sue fibre delicatamente cercando eventuali rami arteriosi che, se reperiti, andranno legati.



Figura 12 di 30.

Caricate le fibre del muscolo retto addominale su dei divaricatori Farabeuf si espone la fascia posteriore del muscolo ed il peritoneo parietale (spesso fuse assieme) che viene sollevato (dopo aver escluso la presenza di anse intestinali) con delle pinze ed inciso.



Figura 13 di 30.

Apertura del peritoneo e suo caricamento su pinze Klemmer. Visibile un'ansa intestinale mobile.



Figura 14 di 30.

Dopo aver inserito un filo guida metallico nel catetere, lo stesso viene inserito nella cavità addominale dirigendosi verso lo scavo di Douglas. Una leggera pressione del catetere montato sul filo guida verso il basso procurerà al paziente un lieve dolore in regione anale. Quest’ultimo sintomo ci conferma il corretto posizionamento della parte terminale del catetere. A questo punto si retrae il filo guida lasciando allocato il catetere in cavità addominale



Figura 15 di 30.

Successivamente si confeziona una borsa di tabacco sul peritoneo cercando di comprendere anche la fascia posteriore del muscolo retto addominale per garantire un meccanismo anti-leakage, lasciando al di sopra del peritoneo la cuffia profonda.



Figura 16 di 30.

Completata la borsa di tabacco, si effettua sutura in continuo della fascia anteriore del muscolo retto addominale, dal basso verso l’alto, lasciando fuoriuscire il catetere dall’angolo superiore.



Figura 17 di 30.

Completamento della plastica della fascia anteriore del retto addominale.



Figura 18 di 30.

Prova funzionale con 50 ml di soluzione fisiologica.



Figura 19 di 30.

Si confeziona il tunnel sottocutaneo con un tunnellizzatore o, più semplicemente, con una pinza Klemmer curva. Il decorso del tunnel è effettuato in direzione latero-inferiore lasciando la cuffia superficiale a circa 2 cm dall’exit site.



Figura 20 di 30.

Utilizzo della pinza di Klemmer curva per il confezionamento del tunnel sottocutaneo.



Figura 21 di 30.

Utilizzo di tunnellizzatore. Personalmente ritengo più sicuro il metodo con il Klemme r curvo essendo meno traumatico (il tunnellizzatore è tagliente e può provocare ematomi).



Figura 22 di 30.

Passaggio del catetere nel tunnel.



Figura 23 di 30.

Chiusura del sottocute a punti staccati.



Figura 24 di 30.

Agraffes metalliche sulla cute che andranno rimosse dopo 12-15 giorni.



Figura 25 di 30.

Fine dell'intervento.



Figura 26 di 30.

Partendo dal concetto che un catetere peritoneale deve creare un’efficace barriera contro gli agenti infettivi, essere composto da materiale biocompatibile, essere difficilmente dislocabile ed essere posizionato con una procedura semplice, nel 1992, Nicola Di Paolo, propose un catetere peritoneale ottenuto modificando il classico catetere di Tenckhoff dritto a due cuffie. La modifica consiste nella presenza, nella parte distale del catetere (ultimi due centimetri), di un cilindretto di tungsteno di 12 grammi, completamente ricoperto da silastic.  Questa modifica comporta un aumento del diametro del catetere di 0.5 mm. La scelta dell’utilizzo del tungsteno è dovuta al fatto che tale materiale è chimicamente inerte e biocompatibile.



Figura 27 di 30.

La presenza dell’oliva in tungsteno permette due funzioni fisiche importanti, grazie al peso aumentato della parte terminale del catetere: il mantenimento del tip distale nella parte più bassa della cavità addominale (riducendo sensibilmente le dislocazioni) ed una modica trazione all’interno della cavità addominale controbilanciando le forze di trazione verso l’esterno (prevenendo le estrusioni della cuffia superficiale). Il catetere autolocante è stato creato per risolvere il problema della dislocazione del catetere stesso. Per svolgere una funzione efficiente, il catetere deve essere allocato nella cavità del Douglas, dove l’omento non è presente. Il contatto tra l’omento ed il foro terminale del catetere, nella fase di drenaggio, può creare un malfunzionamento del catetere per “aspirazione” dell’omento in tale apertura.(Di Paolo N [1](full text)



Figura 28 di 30.

Nel 2004 Di Paolo ha pubblicato uno studio multicentrico in cui sono stati confrontati i dati di due gruppi di pazienti ai quali erano stati posizionati due tipi di catetere: il catetere di Tenckhoff (216 pazienti) e l’autolocante (746 pazienti). Dopo un follow up di due anni, le dislocazioni si presentarono nel 12% nel gruppo “Tenckhoff” e nello 0,8% nel gruppo “autolocante”. Miglioramenti statisticamente significativi furono osservati nel gruppo “auto locante” anche per quanto riguarda l’incidenza di peritoniti, le infezioni del tunnel sottocutaneo, l’estrusione della cuffia, ed il leakage precoce.

In uno studio spagnolo del 2001, Miguela et al. hanno avuto gli stessi risultati, confermati da Lanuza et al nel 2006 dopo nove anni di osservazione.(Di Paolo N [2](full text)



Figura 29 di 30.

L’estremità distale del catetere autolocante può, in certe circostanze, dislocarsi dalla cavità del Douglas, ma questa evenienza solitamente non genera malfunzionamento in quanto, dopo alcune ore di posizione eretta, il catetere ritorna nella posizione originale.

Bergamin et al. su Peritoneal Dialysis International ha pubblicato, nel 2010, i risultati di tre anni di osservazione sull’usodel catetere autolocante in 27 pazienti. In pazienti sono stati seguiti per una media di 13 mesi (periodo cumulativo di osservazione: 357 mesi di terapia PD). La sopravvivenza del catetere fu del 93% in un anno. La maggior parte delle rimozioni (nove) è stata effettuata per trapianto renale. Solamente una per intrappolamento omentale. Gli autori segnalano due casi di malfunzionamento dovuto in caso a dislocazione ed un altro a dolore nella fse di drenaggio. Tutte e due i casi sono stati risolti tramite video laparoscopia.(Bergamin B [3](full text)Di Paolo N [4](full text))



Figura 30 di 30.

Nella nostra esperienza, come anche segnalato da una correspondence di Roberto Russo del gruppo di Bari, in pochi casi, durante la rimozione di questo catetere, si è notata la presenza di aderenze (viscero-omentali e viscero-viscerali) che hanno reso difficoltosa la rimozione stessa. Tale complicanza è verosimilmente da ascrivere al brusco aumento di diametro passando dalla parte in silastic all’oliva di tungsteno. Altra ipotesi è quella della presenza di un corpo estraneo in cavità peritoneale che provoca una reazione peritoneale tale da formare tessuto infiammatorio cicatriziale. Recentemente un ulteriore modifica, ha reso questo “salto” di diametro meno drastico con l’aggiunta di maggiore quantità di silastic nella zona di passaggio tra i due diametri differenti. In ogni caso, la rimozione in videolaparoscopia può risolvere tale complicanza.(Russo R)

 



release  1
pubblicata il  22 marzo 2012 
da Emilio Giulio Galli
(Nefrologia e Dialisi A.O. di Treviglio)
Parole chiave: catetere peritoneale
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