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Il catetere peritoneale: tecniche di inserimento e complicanze

Risoluzione delle complicanze in VLS

presentazione

Figura 1 di 25.



Figura 2 di 25.



Figura 3 di 25.



Figura 4 di 25.

Dopo le iniziali esperienze in chirurgia ginecologica, la laparoscopia veniva introdotta, in chirurgia addominale nel 1985, quando il tedesco Erich Muhe eseguiva per primo una colecistectomia. Due anni dopo, nel 1987, il francese Philippe Mouret per la prima volta utilizzò la nuova metodica con un sistema video-assistito (Harrell AG - 2005 [1]). Attualmente la maggior parte degli interventi di chirurgia addominale e toracica possono essere condotti a termine in videolaparoscopia. All’inizio degli anni ‘80 la peritoneoscopia (già utilizzata come metodica diagnostica) veniva introdotta per il posizionamento e la revisione dei cateteri peritoneali malfunzionanti (Ash SR - 1982, Wilson JAP - 1985 [2], Brunk E - 1985 [3], Smith DW - 1989 [4]). La tecnica peritoneoscopica impiegava il sistema Y-TEC con un trocar del diametro di soli 2.2mm, limitando le possibilità di revisione. L’evoluzione tecnologica della videolaparoscopia con l’utilizzo di trocars di diametro superiore (normalmente 5-12mm), e di ottiche sempre più sofisticate ha reso possibile anche l’esecuzione di interventi complessi (Korten D - 1982, Gibson DH - 1990, Chao SH - 1993, Hughes CR - 1994 [5], Mutter D - 1994 [6], Julian TB - 1995 [7] (full text)). 

Ash SR, Wolf GC, Bloch R. Placement of the Tenckhoff peritoneal dialysis catheter under peritoneoscopic vision. Dial Transplant 1981; 1: 383-387. 

Korten G, Arendt R, Brügmann E, Klein B. Ein neues Verfahren zur Revision und Reposition funktionsloser Peritonealdialysekatheter. Z Urol Nephrol 1982; 75: 885-887.

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Figura 5 di 25.

La videolaparoscopia viene utilizzata nel salvataggio del catetere dopo il fallimento dei metodi conservativi e relativamente non invasivi come clistere evacuativo, lisi endoluminale con urochinasi, manipolazioni con spazzolini endoscopici, con il catetere di Fogarty o con il filo guida metallico (Diaz-Buxo JA - 1998 [8] (full text)). In dialisi peritoneale le indicazioni principali per la videolaparoscopia sono il posizionamento dei cateteri, la diagnostica intra-addominale, la prevenzione e la terapia del malfunzionamento e la terapia di patologie intra-addominali. Si possono eseguire anche interventi specifici per prevenire il malfunzionamento del catetere come: omentectomia (Crabtree JH - 2006 [9]), omentopessia (Crabtree JH - 2003 [10], Ogunc G - 2005 [11] (full text)), resezione di appendici epiploiche (Crabtree JH - 2006 [9]), fissazione del catetere alla parete addominale anteriore (Kok KY - 1999 [12], Julian TB - 1995 [7] (full text)) o nella cavità pelvica (Lu CT - 2003 [13]) e tunnellizzazione pre-peritoneale del catetere fino alla cavità addominale (Comert M - 2005 [14], Ogunc G - 2003 [15]). Questi interventi preventivi sembrano di ridurre il malfunzionamento del catetere a lungo termine. L’indicazione principale della videolaparoscopia è rappresentata dalla diagnosi e terapia del malfunzionamento del catetere peritoneale, dopo l’insuccesso della terapia conservativa (Giannattasio M - 1999 [16] (full text)). La causa del malfunzionamento è, nell’80% dei casi, rappresentata dalla dislocazione e/o dall’avvolgimento nelle anse intestinali o nel tessuto omentale (Giannattasio M - 1996 [17] (full text), Amerling R - 1997 [18], Santarelli S - 2006 [19] (full text), Yilmazlar T - 2006 [20] (full text)). Altre cause sono: aderenze, trombosi endoluminale, angolazione del catetere, errato posizionamento pre-peritoneale del catetere (tra fascia del muscolo retto e peritoneo) ed avvolgimento negli annessi. La metodica consente di trattare le suddette condizioni mediante riposizionamento nella cavità pelvica, sbrigliamento o “unwrapping”, trombolisi meccanica endo- ed extraluminale, ancoraggio e disancoraggio, omentectomia ed omentopessia. La videolaparoscopia ha anche indicazione nella diagnostica intraaddominale in casi di occlusione intestinale (Franklin ME - 2004 [21]). L’esplorazione addominale, se ritenuta necessaria per malfunzionamento del catetere o altro, si può effettuare anche in casi di peritonite (Jwo SC - 2003 [22], Eustace J 1996 [23] (full text)). La videolaparoscopia è utilizzata come tecnica di prima scelta per la colecistectomia, l’appendicectomia e l’ernioplastica in pazienti che effettuano già la dialisi peritoneale. Il vantaggio di tale tecnica è di poter continuare con la dialisi peritoneale nell’immediato post-operatorio anche se, nel caso di ernioplastiche, è consigliabile un periodo di sospensione per tre-quattro settimane. 



Figura 6 di 25.

La principale causa di malfunzionamento che porta all’intervento laparoscopico è rappresentata dal wrapping omentale con una prevalenza che va dal 31% (Ogunc G - 2002 [24] (full text)) al 57% (Santarelli S - 2006 [19] (full text)). La dislocazione è una complicanza con una frequenza simile a quella del wrapping ed in molti casi associata al wrapping. L‘occlusione endoluminale del catetere da trombi, da tessuto peritubarico o da appendici epiploiche del colon causa persistente malfunzionamento con carico e scarico insufficiente, nonostante corretta posizione documentata radiograficamente. 



Figura 7 di 25.

Una radiografia diretta dell’addome è necessaria per accertare la posizione del catetere prima dell’intervento chirurgico. Il primo punto d’ingresso viene scelto nel lato addominale opposto della attuale posizione della punta del catetere, per accertare e trattare le cause del malfunzionamento, se possibile, con un solo trocar. Eventuali ulteriori ingressi vengono allestiti sulla base delle attrezzature e manipolazioni necessarie per la risoluzione.



Figura 8 di 25.

La minilaparotomia è una tecnica di accesso alla cavità addominale che consente un controllo diretto visivo delle strutture della parete addominale per ridurre il rischio di lesioni vascolari ed intestinali. La preparazione consiste nell’incisione della cute (per una lunghezza di 2-3 cm), sottocute e fascia muscolare, divaricazione delle fibre muscolari, incisione della fascia posteriore del muscolo ed apertura del peritoneo sollevando contemporaneamente con divaricatori la parete addominale. Il peritoneo e la fascia posteriore del muscolo vengono afferrati con pinze in quattro punti per creare, con un filo riassorbibile, una “borsa di tabacco” che consente, al termine dell’intervento, di richiudere il foro per un eventuale inizio immediato post-operatorio della dialisi peritoneale senza il rischio di leakage (Amerling R - 1997 [18], Santarelli S - 2006 [19] (full text), Manouras AJ - 2004 [25] (full text)). Attraverso la prima minilaparotomia viene inserito un trocar mediante il quale si effettua il pneumoperitoneo, con anidride carbonica, alla pressione intra-addominale di 12 mmHg. Questo determina una sufficiente distensione della cavità addominale per effettuare, con il videolaparoscopio, l’esplorazione. 



Figura 9 di 25.

Per il salvataggio di un catetere peritoneale vengono utilizzati strumenti normalmente impiegati per la chirurgia videolaparoscopica addominale e quindi interventi peritoneali nefrologici possono essere facilmente integrati in un già esistente programma di chirurgia laparoscopica.



Figura 10 di 25.



Figura 11 di 25.

Adesioni tra anse intestinali, omento e peritoneo parietale favoriscono il malfunzionamento del catetere da drenaggio incompleto, dislocazione e wrapping omentale.



Figura 12 di 25.

L’adesiolisi viene eseguita solo per facilitare il corretto posizionamento del catetere e per assicurare un drenaggio adeguato del dialisato. In genere l’estensione dell’intervento è limitata alla cavità pelvica e viene eseguito con forbici, pinze, elettrocauterio o dissettore ad ultrasuoni (Crabtree JH - 2006 [9]). Durante l’adesiolisi è importante evitare sia perforazioni intestinali ma anche lesioni del peritoneo nella cavità pelvica. Un foro nel peritoneo in questa zona può creare un edema scrotale o labiale. Si consiglia un lavaggio della cavità addominale nel percorso post-operatorio per prevenire la neoformazione di aderenze. Nella nostra esperienza il lavaggio riduce la formazione di aderenze e di trombi di fibrina specialmente dopo un intervento accompagnato da lieve sanguinamento intraaddominale come l‘adesiolisi (Gadallah MF - 2001 [26]). 



Figura 13 di 25.

La principale causa di malfunzionamento che porta all’intervento laparoscopico è rappresentata dal wrapping omentale con una prevalenza che va dal 31% al 57% (Ogunc G - 2002 [24] (full text), Santarelli S - 2006 [19] (full text)). Lo “stripping” o “sbrigliamento” consiste nell’afferrare, con una pinza-dissettore, il tessuto omentale che ha avvolto il catetere (o alternativamente il catetere stesso) e nel liberarlo esercitando delle trazioni. Tale intervento è semplice e immediatamente risolutivo ma è accompagnato da recidiva in circa il 40% dei casi trattati (Santarelli S - 2006 [19], Amerling R - 1997 [18]). 



Figura 14 di 25.

Il persistente malfunzionamento con carico e scarico insufficiente, nonostante corretta posizione documentata radiograficamente, può essere causato anche dalla occlusione endoluminale da trombi, da tessuto omentale, da tessuto peritubarico (Moreiras-Plaza M - 2004 [27]) o da appendici epiploiche del colon (Crabtree JH - 2006 [9]). Crabtree consiglia anche la resezione delle lunghe ed abbondanti appendici epiploiche del colon che possono impedire la pervietà del catetere con un dissettore ad ultrasuoni. La formazione di trombi di fibrina avviene frequentemente durante peritonite o emoperitoneo spontaneo e nell’immediato post-operatorio di interventi addominali. L’intervento videolaparoscopico consiste nella rimozione controllata del materiale occludente: sotto osservazione con la videocamera, si spinge il trombo o il tessuto fuori dalla punta del catetere mediante l’inserimento endoluminale di un catetere ureterale, della dimensione di 5 French. 



Figura 15 di 25.

Il lavaggio forzato dell’interno del lume, e le manipolazioni con pinze laparoscopiche dall’esterno liberano i fori distali del catetere. Il materiale occludente viene asportato e rimosso dalla cavità addominale con pinza e/o sonda d’aspirazione.



Figura 16 di 25.

Anche senza l‘utilizzo di un videolapararoscopio è possibile di correggere e di disostruire un catetere peritoneale come descritto da Kim in 6 casi (Kim SH - 2008). Il catetere viene estratto manualmente via una minilaparotomia, in sede inferiore dell‘ingresso del catetere, il tessuto occludente rimosso. Alla fine il catetere viene riposizionato in sede pelvica con una pinza.  

Kim SH, Lee DH, Choi HJ et al. Minilapararotomy with manual correction for malfunctioning peritoneal dialysis catheters. Perit Dial Int 2008; 28: 550-554.



Figura 17 di 25.

L’omentectomia consiste nella asportazione dell‘omento in regione sotto-ombelicale. Essa può essere eseguita in maniera intraaddominale con un elettrocauterio (endoscopic hook cautery) o cucitrice meccanica lineare (endoscopic linear cutter) (Crabtree JH - 1999 [28]), o in maniera extraaddominale (più semplice) con l‘estrazione dell‘omento dalla sede della mini-laparotomia (Leung LC - 1998 [29]). La prima tecnica allunga significativamente la durata dell’intervento a più di 60 minuti ed aumenta il rischio di sanguinamento intra-addominale. 



Figura 18 di 25.

Durante l’omentopessia si fissa l’omento alla parete addominale anteriore dell’addome superiore o al legamento falciforme del fegato con nodi o clips liberando cosi la parte addominale inferiore dalla presenza dell’omento (Ögünç G - 2002 [24] (full text), Crabtree JH - 1996 [30]). L‘omentopessia pone il rischio potenziale di un volvolo interno del digiuno (Barone GW - 1998 [31]). 



Figura 19 di 25.

La terza strategia della prevenzione del wrapping omentale viene proposta da Goh come omental folding (piegare l‘omento su se stesso) applicata in 18 pazienti (Goh YH - 2008 [32] (full text)). La parte distale dell‘omento viene fissata sulla parte gastrocolica. La durata dell‘intervento è tra 35 e 160 minuti (mediana 90 minuti). 



Figura 20 di 25.

La dislocazione è una complicanza con una frequenza simile a quella del wrapping ed in molti casi associata al wrapping. Il semplice riposizionamento del catetere nella cavità pelvica comporta un rischio elevato di recidiva, per ridurre la quale vengono adottate due strategie laparoscopiche. La prima consiste nel fissare il catetere con un nodo o una clip metallica a qualche struttura della cavità pelvica (parete, annessi) (Lu CT - 2003 [13]). La seconda è l’ancoraggio del catetere 3-4 cm sotto la sua emergenza intraperitoneale, con una ansa di filo non assorbibile che viene annodata nel sottocute (Julian TB - 1995 [7] (full text), Kok KY - 1999 [12], Harissis HV - 2006 [33]). Questo punto, definito ad “U”, costringe il catetere a mantenere la direzione verso la pelvi. Il vantaggio della seconda strategia (la prima è stata pressoché abbandonata), è di rendere possibile una futura rimozione del catetere senza ricorrere alla laparoscopia, in quanto il catetere, sotto trazione, può scivolare facilmente fuori dall’ansa del filo. 



Figura 21 di 25.

Il catetere autolocante di tipo Di Paolo utilizza un peso incorporato all fine del catetere per mantenere la punta del catetere in sede pelvica (Di Paolo N - 2004 [34] (full text)). Stucky et al. ha decritto un caso in quale un catetere peritoneale, in precedenza gia dislocato per due volte, veniva appesantito con una protesi testicolare con buon risultato a lungo termine (Stucky CH - 2010 [35] (full text)).   



Figura 22 di 25.

Le complicanze della metodica sono principalmente rappresentate da ileo transitorio, peritonite ed infezione del tunnel, sanguinamento, ernia ombelicale ed incisionale, leakage sottocutaneo, edema scrotale o delle labbra vaginali e, raramente, dalla perforazione intestinale (Giannattasio M - 1996 [17] (full text), Amerling R - 1997 [18]Santarelli S - 2006 [19] (full text), Yilmazlar T - 2006 [20] (full text)). L’incidenza di complicanze è tra 0.03% (Santarelli S - 2006 [19]) e 17.3% (Yilmazlar T - 2006 [20]). Una terapia profilattica antibiotica con vancomicina o cefalosporina è consigliata per ridurre le complicanze infettive (Piraino B - 2005 [36] (full text), Li PK - 2010 [37] (full text)). La chiusura attenta di tutti gli ingressi addominali e la particolare cura ad evitare lacerazioni del peritoneo parietale della cavità pelvica, durante l’intervento, minimizzano il rischio di formazione di ernie e leakage. L’insorgenza di leakage, di edema scrotale o delle labbra vaginali nel post-operatorio necessitano dell’interruzione della dialisi peritoneale, per almeno due settimane, allo scopo di favorire la chiusura conservativa dello foro. La maggior parte delle complicanze è gestibile in maniera conservativa. 



Figura 23 di 25.

La tecnica videolaparoscopica è fondamentale per la diagnosi ed il trattamento del malfunzionamento del catetere peritoneale. Nella maggioranza dei casi un completo recupero e riutilizzo immediato del catetere è possibile. Il salvataggio allunga la sopravivenza tecnica del catetere, nella mediana, di circa 5 - 7 mesi (Amerling R - 1997 [18], Santarelli S - 2006 [19] (full text), Yilmazlar T - 2006 [20] (full text)). La metodica della minilaparotomia con "borsa di tabacco" permette la ripresa della dialisi peritoneale ed il lavaggio della cavità addominale nell'immediato postoperatorio per rimuovere fibrina e sangue dalla cavità addominale. Nella nostra esperienza si riduce la formazione di aderenze e di trombi di fibrina specialmente dopo un intervento accompagnato da lieve sanguinamento intraaddominale come l'omentectomia (Gadallah MF - 2001 [26]). Nel nostro programma interventi preventivi, con il fine di ridurre le recidive, vengono eseguiti solo dopo diagnosi di malfunzionamento da wrapping e dislocazione. 



Figura 24 di 25.



Figura 25 di 25.

L‘industria sta sviluppando sistemi di accesso multiplo con un singolo port e sistemi di chirurgia laparoscopica robotica (Harrell AG - 2005 [1]). 1. Harrell AG, Todd Heniford B. Minimally invasive abdominal surgery: lux et veritas past, present and future. Am J Surg 2005; 190: 239-243.



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release  1
pubblicata il  21 marzo 2012 
da Matthias R. H. Zeiler
(U.O. Nefrologia e Dialisi, Ospedale "Carlo Urbani", Jesi (AN))
Parole chiave: complicanze colonscopia, dialisi peritoneale, laparoscopia
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