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Dialisi peritoneale

L’INTIMA MEDIA THYCKNESS NELLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE NEI PAZIENTI IN DIALISI (PD VS HD)

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Introduzione

I fattori di rischio tradizionali non risultano sufficienti a spiegare l’elevata prevalenza di malattia cardiovascolare nei pazienti uremici. Numerosi studi negli ultimi anni hanno mostrato come vi sia una stretta associazione tra infiammazione, aterosclerosi e mortalità cardiovascolare  nel paziente uremico e come l’infiammazione cronica possa svolgere un ruolo chiave nelle diverse fasi del processo aterogenico. La misurazione dell’Intima Media Thickness (IMT) (figura 1), il cui incremento è espressione di aterosclerosi precoce, può fornire importanti dati sul rimodellamento della parete vasale già in fase predialitica e costituire un indicatore precoce per monitorare il rischio cardiovascolare e valutarne l’evoluzione (Rundek T et al, Neurology 2008; 70:1200-1207 [1]). Il presente studio si è posto l’obiettivo di individuare e valutare le variabili che influenzano l’evoluzione dell’IMT attraverso il confronto dei valori medi all’inizio e dopo 24 mesi di terapia sostitutiva, ed inoltre se vi sia una differenza rilevante nell’evoluzione di tale indice ascrivibile al tipo di trattamento dialitico effettuato (Malyszko J., Lebkowska U., Malyszko J, Mysliwiec M [2].).

Materiali e Metodi

È stato condotto uno studio retrospettivo su due gruppi di pazienti in terapia sostitutiva (HD vs PD) per valutare eventuali significative differenze di rischio cardiovascolare legate alla metodica dialitica, attraverso il monitoraggio dell’IMT. I dati demografici erano così caratterizzati:

Gruppo di pazienti in DP 27 di cui maschi 19 (70%) e femmine 8 (30%), età media 63.6 ± 1.02 anni, età dialitica media 24 ± 2 mesi. La modalità dialitica scelta è stata per 9 pazienti (33%) CAPD e per 18 pazienti (67%) APD. Le nefropatie di base erano così rappresentate: pielonefrite (3%);  nefropatia scleroipertensiva (66%);  rene policistico (12%); glomerulonefriti (13%) causa iatrogena (6%).

Gruppo di pazienti in HD 30 di cui 16 maschi e 14 femmine, età media di 64.3 ± 1.06 anni, età dialitica media 24 ± 3 mesi. Le nefropatie di base erano  così rappresentate: nefropatia ipertensiva (56%), glomerulo nefriti (17%), rene policistico (15%), pielonefriti (7%), causa iatrogena (5%). Le tecniche emodialitiche erano così rappresentate: il 60 % effettuava HD standard, il 35 % emodiafiltrazione on-line, il 5% AFB (Figura 2).

I pazienti reclutati presentavano diversa nefropatia di base ma comorbidità per ipertensione arteriosa in terapia farmacologica. Sono stati esclusi dallo studio pazienti diabetici, pazienti affetti da cardiopatia ischemica e neoplastici. La popolazione scelta risultava omogenea per età anagrafica, età dialitica e caratteristiche antropometriche quali il BMI.

Risultati e Discussione

Dai dati emersi nel gruppo di pazienti in HD si osserva una correlazione significativa tra IMT e P.A., Ca x P, PTHi (p < 0.001) e Hgb (p < 0.5). Le correlazioni osservate nel gruppo di pazienti in DP sono tra l’IMT ed il colesterolo totale, il colesterolo LDL, i trigliceridi e l’albuminemia (p < 0.001). Abbiamo inoltre notato una correlazione tra IMT, PCR e Fibrinogeno (p< 0.001) in entrambe le popolazioni di pazienti.

Circa l’80% dei pazienti emodializzati è iperteso e la malattia cardiovascolare è la causa principale di morte, specialmente nei primi anni di trattamento, come mostrato anche nel nostro gruppo. L’ipertensione è il fattore singolo più importante di malattia coronarica nei pazienti uremici. Nel paziente in emodialisi la PA è volume dipendente, soprattutto all’inizio della terapia; maggiore è il valore del delta-P interdialitico, maggiore sarà l’incremento pressorio e quindi lo stress generato a livello delle pareti vasali. Con la cronicizzazione del trattamento si assiste ad un aumento delle resistenze periferiche dovuto ad una attivazione del sistema R-A-A, cui si aggiungono gli effetti derivanti dal cronico utilizzo dell’EPO (aumento viscosità ematica ed aumento resistenze periferiche) e la presenza della FAV, che determina iperafflusso del ritorno venoso.

L’alterazione del bilancio calcio-fosforo e l’aumento del PTHi hanno mostrato una correlazione significativa con l’incremento dell’IMT nel gruppo degli emodializzati. L’incremento del prodotto Ca x P favorisce la deposizione di calcio nei tessuti quali il miocardio,  depositandosi nella tonaca medio-intimale e contribuendo all’aumento dello spessore e della rigidità dei vasi.

L’anemia riscontrata nel gruppo degli emodializzati è riconducibile all’IPS in quanto il PTHi elevato induce fibrosi midollare con deficit della risposta all’EPO e all’utilizzo costante di eparina ad alte dosi con il rischio di continue perdite ematiche, la stessa eparina inibendo il rilascio di N.O. inducendo e promuovendo un effetto vasocostrittore pro-trombotico sulle pareti vasali (effetto paradosso da alte dosi di eparina).

Questi fattori compartecipano nel tempo allo sviluppo dell’aterosclerosi coronarica, principale causa di morbilità e mortalità cardiovascolare. Il gruppo dei pazienti in DP conservando una funzione renale residua (Russo G E et al [3])presentano un  miglior assetto del prodotto Ca-P. Questo gruppo di pazienti ha mostrato una correlazione significativa tra aumento dell’IMT ed i valori di Colesterolo Totale, LDL e Trigliceridi; la dislipidemia legata alla metodica sostitutiva è secondaria al riassorbimento del glucosio contenuto nelle sacche di carico che si trasforma in lipidi sottoforma di trigliceridi e LDL, contribuendo all’aumento del rischio di aterosclerosi.

Si è osservata una relazione significativa, in entrambi i gruppi, tra IMT e stato infiammatorio cronico valutato con PCR e fibrinogeno. Lo stato uremico di per sé, ma anche l’impiego di materiali, sì biocompatibili, ma comunque estranei all’organismo, come linee e filtri nell’emodialisi e catetere peritoneale in dialisi peritoneale, spiega l’aumento seppure cronico degli indici di flogosi.

Il gruppo di pazienti in DP presenta una correlazione significativa tra IMT ed albuminemia. La malnutrizione proteico-calorica è una caratteristica dell’uremico in DP in quanto con il dialisato si osserva una perdita di proteine ed aminoacidi,  si crea cioè una sindrome nefrosica di tipo iatrogeno e se a ciò si aggiunge lo stato infiammatorio cronico, che di per sé induce uno stato ipercatabolico, si delinea la sindrome MIA (Malnutrition Inflammation Atherosclerosis) legata all’incremento della mortalità cardiovascolare.

Conclusioni

Dal nostro studio non emerge una differenza significativa dell’evoluzione dell’IMT nelle due popolazioni esaminate. Il paziente uremico in dialisi presenta fattori di rischio aggiuntivi uremici che lo espongono ad una maggiore morbilità cardiovascolare.

Le due metodiche sostitutive renali (PD E HD) condizionano l’incremento dell’IMT attraverso un aumento di differenti parametri. La correlazione osservata tra IMT ed i parametri suddetti e da noi utilizzati ci suggerisce di ottimizzare la correzione della dislipidemia, della malnutrizione proteico-calorica e fondamentale è la riduzione dello stato infiammatorio cronico.

Per quanto riguarda i pazienti in HD risulta di primaria importanza ridurre le brusche ultrafiltrazioni per seduta dialitica al fine di preservare più a lungo possibile la diuresi residua. Ottimizzare la terapia medica chelante il fosfato coadiuvata dall’educazione dietetica del paziente emodializzato non solo rivolta alla diminuzione  del peso interdialitico (Suki WN, et Al. [4]). Per entrambe le metodiche l’utilizzo di materiali sempre più biocompatibili può contribuire alla riduzione dello stato infiammatorio cronico.

Sicuramente sottoporre i pazienti a controlli seriati annuali di tipo ecografico, può fornirci informazioni sulla progressione dell’aterosclerosi impiegando una tecnica non invasiva e ripetibile nel tempo; la misurazione dell’IMT può fornirci importanti dati sul rimaneggiamento della parete vasale già in fase predialitica alfine di monitorare in rischio cardiovascolare nei pazienti con CKD. 

release  1
pubblicata il  25 settembre 2012 
da Russo G.E., Casarci M., Rocca A.R., Cicchinelli A., D’Angelo A.R., Totaro E., Serraiocco M., Testorio M., Mazza F.,Morgia A., Borghesi F., Mastroluca D., Mangiulli M., Gnerre Musto T., Borzacca B.
(Dipartimento di scienze ginecologico-ostetriche e scienze urologiche, Sapienza Università di Roma )
Parole chiave: aterosclerosi, calcificazioni cardiovascolari, dialisi peritoneale, disfunzione endoteliale, dislipidemia, emodialisi, infiammazione cronica, insufficienza renale cronica, malattia cardiovascolare, patologia cardiovascolare, rischio cardiovascolare
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