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Dialisi peritoneale

TRENT'ANNI DI DIALISI PERITONEALE (DP): ANALISI DI UNA CASISTICA MONOCENTRICA

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INTRODUZIONE

Nonostante la maggiore diffusione della APD (rispetto alla CAPD) ed il miglioramento dei risultati osservati in termini di sopravvivenza della metodica e dei pazienti, la diffusione della Dialisi Peritoneale (DP) non è sostanzialmente aumentata in Italia nel corso degli anni. Numerosi lavori hanno segnalato come le comorbidità presenti all’inizio del trattamento siano predittrici di mortalità indipendentemente dal tipo di dialisi. Secondo l’analisi di alcuni Autori sono da considerarsi fattori associati alla mortalità: un’età > 75 anni all’inizio dialisi, un BMI <18,5%, il numero di comorbidità presenti all’inizio della dialisi e l’invio tardivo all’ambulatorio nefrologico (“late referral”) (Foote C. [1]). Durante il tempo trascorso in dialisi, la perdita della funzione renale residua (RRF) riveste un ruolo determinante nel predire la mortalità (Kang SH [2]; Van der Wal WM [3]).

SCOPO DEL LAVORO

Abbiamo arbitrariamente suddiviso la nostra trentennale esperienza nel campo della dialisi peritoneale in due periodi di quindici anni ciascuno, caratterizzati da un diverso approccio alla selezione dei pazienti (selezione “in positivo” più recentemente, rispetto alla precedente selezione di pazienti anziani, gravati da diverse comorbidità).

PAZIENTI E METODI

Sono state valutate retrospettivamente le cartelle cliniche di 260 pazienti, su un totale di 423, seguiti presso il nostro reparto dal 1982 e il 2011; 95 sono stati esclusi in quanto presentavano un trattamento dialitico inferiore a 6 mesi,e 68 perché avevano sviluppato un evento cardiovascolare maggiore prima di iniziare la dialisi. Le caratteristiche della popolazione, costituita pertanto da 260 pazienti, erano le seguenti: M/F=176/84, età media 60.2 ± 11.6 anni, durata media della DP 33.4 ± 26.7 mesi, rapporto CAPD/APD 141/119. Il periodo di follow-up è stato suddiviso in due periodi: gruppo A=1982-1996 e gruppo B=1997-2011.

Gruppo A= n=108, età media 62.2 ± 10.8 anni, CAPD/APD 97/11, durata dell’IRC pre-dialisi 71.6 ± 60.4 mesi, durata dialisi 30.7 ± 26 mesi, fumatori 24%, diabetici 27%.

Gruppo B= n=152, età media 58.8 ± 12.1 anni, CAPD/APD 44/108, durata dell’IRC pre-dialisi 138.8 ± 104.9 mesi, durata dialisi 35.5 ± 27.0 mesi, fumatori  44%, diabetici 22%.

RISULTATI

Il confronto fra i due Gruppi ha dato i seguenti risultati:

età = p < 0,001; durata dell’IRC predialisi = p < 0,001; peritoniti 65 vs 30 %; incidenza di peritoniti = p < 0.01 (1 episodio ogni 20 mesi vs 1 episodio ogni 50 mesi di terapia); ospedalizzazione per altre cause = p < 0.01 (35 giorni vs 20 giorni); mortalità globale = p < 0.01 (70 vs 41%); inserimento in lista trapianto renale = p < 0.01 (9 vs 45%); numero trapianti renali = p < 0.01 (5,5 vs 27%); vasculopatia periferica = p <0.05 (21.2 vs 14.5%); accidenti cardiovascolari = p < 0,05 (18.5 vs 11.0 %); neoplasie = p NS (16,6 vs 14,4 %); infarti del miocardio = p NS (27,7 vs 25,6%); diuresi basale = p < 0.05 (835 ± 554 vs 998 ± 462 ml/die), diuresi a 36 mesi = p < 0,05 (135 ± 255 vs 520 ± 454 ml/die); ultrafiltrato basale = p NS (1235 ± 473 vs 1101 ± 371 ml/die), ultrafiltrato a 36 mesi = p NS (1280 ± 391 vs  1159 ± 381 ml/die); pressione arteriosa sistolica (PAS) basale = p < 0,05 (157 ± 23 vs 141 ± 16 mmHg); PAS a 36 mesi = p < 0,05 (153 ± 79 vs 138.9 ± 19.8 mmHg).

DISCUSSIONE

All’inizio degli anni ’90 fu costituito nel nostro Reparto l’ambulatorio per pazienti con insufficienza renale cronica – all’interno del quale essi vengono seguiti per la terapia conservativa dell’uremia da un team multidisciplinare Medico-Infermiere-Psicologo-Dietista; qui i pazienti venivano accolti precocemente e seguiti nelle varie fasi dell’IRC, indirizzandoli e seguendoli nella scelta del trattamento sostitutivo. Pertanto, la maggiore durata dell’IRC nei nostri pazienti negli ultimi 15 anni può essere interpretata come il risultato di una loro più precoce presa in carico e un più attento follow-up.

Negli anni ’80-’90 i pazienti venivano trattati prevalentemente con CAPD ed erano più anziani; in seguito vi è stata una maggior diffusione della APD anche nel nostro Centro. Con questa metodica sono stati trattati pazienti “più giovani”, spesso ancora in età lavorativa, per i quali la APD può rappresentare effettivamente una metodica dialitica “ponte” in attesa della terapia sostitutiva definitiva della funzione renale, il trapianto di rene. Come effetto di questa selezione in positivo dei pazienti che iniziavano la DP, abbiamo osservato un parallelo aumento dei pazienti in lista di attesa di trapianto (arrivando a rappresentare il 30% della popolazione generale considerata). Anche l’incidenza di peritoniti si è ridotta, verosimilmente più per le caratteristiche della popolazione che per la prevalenza dell’APD; d’altronde, la maggiore incidenza di peritonite nel Gruppo A (1982-1996) potrebbe essere dovuto, oltrechè al maggior numero di connessioni/sconnessioni che la CAPD richiede rispetto alla APD (il quadruplo), anche all’età più avanzata di questi pazienti, che spesso si accompagna ad una minor manualità e a deficit visivi.

E’ noto che il buon controllo dell’emodinamica e il mantenimento della funzione renale residua (RRF) permettono un miglioramento della sopravvivenza (Madziarska K et al. [4]; Wang AY. [5] (full text)); nel nostro Centro mettiamo in atto tutti gli sforzi atti a preservare la RRF, che possono essere riassunti in: inizio tempestivo della dialisi peritoneale, mantenimento dello stimolo diuretico con adeguata dose di furosemide, monitoraggio periodico del volume urinario, prescrizione di soluzioni di dialisi isotoniche e biocompatibili.

CONCLUSIONI

Possiamo affermare che negli ultimi 15 anni:

  • I pazienti con CKD sono stati presi in carico più precocemente: ciò ha permesso un  follow-up specialistico specifico nei soggetti uremici, attraverso l’ambulatorio pre-dialisi: questo ha comportato un inizio più tempestivo della dialisi, in particolare della dialisi peritoneale. Fra questi pazienti, quelli “più giovani”, potenzialmente candidati ad un trapianto di rene, si orientavano verso la APD.
  • Come conseguenza, si è assistito a una netta riduzione delle peritoniti, della mortalità e a un sensibile aumento del numero dei trapianti di rene.
  • Nei pazienti in DP è stata posta particolare attenzione al mantenimento della funzione renale residua e al controllo della malattia ipertensiva.

Pur con i numerosi bias che il nostro lavoro presenta (analisi retrospettiva, dati di adeguatezza incompleti, mancanza di una popolazione di controllo (per esempio in emodialisi), i risultati clinici indicano un trend positivo nel corso degli ultimi anni.

Alla luce di questi risultati, siamo dell’avviso che ci dovrebbe essere  da parte della Comunità Nefrologica una maggiore attenzione e interesse ad implementare la diffusione della dialisi peritoneale, i cui vantaggi vanno ben oltre i favorevoli risultati clinici.

release  1
pubblicata il  25 settembre 2012 
da Rugiu C., Baldan P., Trubian A., Tomei P., De Biase V., Zaza G., Lupo A.
(UOC di Nefrologia e Dialisi, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona)
Parole chiave: dialisi peritoneale, epidemiologia
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