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Miscellanea

ELEVATA MORTALITÀ NELL’INIZIO IN URGENZA DEL TRATTAMENTO EMODIALITICO NEI PAZIENTI CON IRC: APPROPRIATEZZA BIOETICA DEL TRATTAMENTO

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INTRODUZIONE

Nell'ultimo decennio, importanti cambiamenti si sono verificati nella demografia e nella clinica della popolazione in trattamento dialitico:aumento dell’età media, attestatasi intorno ai 70 anni, presenza di  comorbidità plurime. I dati presenti in letteratura evidenziano che non sempre la dialisi si associa ad un maggiore aspettativa e migliore qualità di vita per questi pazienti. Questo cambiamento demografico e clinico comporta costi economici e sociali sempre maggiori. In alcuni casi l’HD può non essere un trattamento proporzionato. Si configura quindi una complessa questione bioetica.

MATERIALI E METODI

Pazienti con IRC preesistente di vario stadio  ricoverati nel nostro policlinico che tra il gennaio 2003 ed il dicembre 2011 hanno iniziato emodialisi (HD) non programmata in urgenza. L’inizio del trattamento è stato deciso dal nefrologo sulla base dei parametri clinici e laboratoristici del paziente.

Tutti I pazienti sono stati sottoposti a bicarbonato dialisi. Le prime quattro dialisi sono state giornaliere, le successive eseguite con ritmo trio quadri settimanale. La durata media delle sessioni dialitiche è stata di 210 minuti (min.150-max 270), con un flusso sangue variabile tra 150-300 ml/min. In tutti i trattamenti sono state utilizzate membrane biocompatibili ad alta permeabilità.

RISULTATI

Sono stati inclusi nello studio 358 pazienti. La tabella 1 riporta le caratteristiche demografiche della popolazione. Centoventotto pazienti  (35.7%) sono  deceduti  durante l’ospedalizzazione,  il 49.2% entro 15 giorni dall’inizio dell’HD (Figura1). I pazienti deceduti presentavano un età media (71.9±9.2 vs 64.9±13.0, p=<0.001) ed un Charlson Comorbidity index (7.4±1.6  vs 6.8±2.0, p=0.005) significativamente più elevati.

I dati hanno evidenziato l’età  come unico parametro predittivo di mortalità  al modello di rischio proporzionale di COX (OR [95% CI] 1,03[1.01-1.05]; p=0.0001).

La mortalità è stata del 9.5% nei pazienti  <60 anni, del 35.3%  in quelli  >60 e <70 anni, del 32.7% nei pazienti >70 e <75 anni, e il 50% nei pazienti >75 anni. I risultati sono stati confrontati impiegando il Log-Rank test [(p<0.001; sopravvivenza media in giorni rispettivamente 72.5 ± 9.4 (n=92), 57.2 ± 7.3 (n=99), 60.6 ± 9.9 (n=55) 38.3 ± 3.7 (n=112)] (Figura 2)

TABELLA

 

 

(n=358)

Età (anni)

67.1±12.4

Maschi / Femmine

212 /146

Creatininemia ricovero (mg/dl)

5.4 ± 2.8

BUN ricovero (mg/dl)

62 ± 35

Hb ricovero (g/dl)

10.5 ± 3.6

Creatinina pre-dialisi (mg/dl)

6.6 ± 3.0

BUN pre-dialisi (mg/dl)

74 ± 38

Hb pre-dialisi (g/dl)

9.9 ± 3.1

Basi eccesso pre-dialisi (mEq/L)

-6.5 ± 9.6

Diabete (no / si)

253 / 158

Malattia coronarica (no / si)

199 / 159

Artereopatia periferica (no / si)

308 / 50

Charlson Comorbidity Index

7.1 ± 2.0

Decessi (%)

128 (35,75)

Tabella1: Caratteristiche demografiche, cliniche e di laboratorio dell’intera popolazione.

CONCLUSIONI

La problematica del non inizio / sospensione del trattamento dialitico si sta ponendo con sempre maggiore forza, in relazione al cambiamento demografico e clinico dei pazienti che iniziano il trattamento sostitutivo: aumento dell’età media, attestatasi intorno ai 70 anni;  presenza di co-morbidità plurime, soprattutto di natura cardiovascolare e metabolica; decadimento funzionale e cognitivo dopo l’inizio del trattamento emodialitico.

I dati presenti in letteratura  evidenziano che non sempre la dialisi si associa ad un maggiore aspettativa e ad una migliore qualità di vita per questi pazienti.

Alla luce di tali considerazioni, l’American Society of Nephrology (ASN) and Renal Physicians Association (RPA) hanno aggiornato le linee-guida “Clinical Practice Guideline on Shared Decision-Making in the Appropriate Initiation of and Withdrawal from Dialysis”.

 Nel nostro studio, l’inizio intraospedaliero in urgenza dell’HD è gravata da mortalità elevata e precoce. L’età sembra essere l’unico parametro predittivo di mortalità: nei  pazienti > 75 anni si attesta al 50%. Questo ci ha spinto a sviluppare delle linee guida etiche allo  scopo di  evidenziare gli elementi etici rilevanti nel processo decisionale clinico, per valutare  l’“appropriatezza” etica del trattamento in questione.

Dal punto di vista etico, infatti, non è sufficiente che un trattamento sia tecnicamente praticabile per poterlo/doverlo applicare, ma è richiesto che i benefici attesi siano superiori ai rischi connessi (beneficità) e che sia compatibile con la prospettiva del paziente (autonomia). In altre parole, l’avvio della dialisi in un paziente, non dovrebbe avvenire sulla base della semplice disponibilità tecnica dell’intervento, ma sulla base della ragionevolezza clinica, attentamente valutata caso per caso.

Dall’incontro tra la complessità dei casi clinici gestiti dall’unità operativa di emodialisi del policlinico Gemelli e la riflessione etica condotta nell’ambito delle consulenze di etica clinica fornite dall’Istituto di Bioetica, all’interno del Progetto “Servizio INTegrato di bioEtica Applicata nelle organizzazioni di ricerca e di assistenza (SINTEA)” è nata l’esigenza di formulare una proposta di inee-guida etiche per un’appropriata indicazione al trattamento dialitico.

Sono stati considerati 7 punti chiave:

1)  LA CONDIVISIONE DELLA DECISIONE; SHARED DECISION-MAKING (SDM)

il principale pregio di un modello clinico di SDM - è che la decisione condivisa non ha il significato di mero compromesso tra la visione del medico e quella del paziente, bensì quello di una reale alleanza dove le competenze mediche incontrano e vengono poste a servizio del miglior interesse del paziente. Il dato clinico evidence-based (che potrebbe guidare, ad esempio, il giudizio di futilità medica), viene  integra opportunamente con la prospettiva personale del paziente. Un percorso clinico, basato su un approccio di SDM, costituisce un’espressione migliore della volontà del paziente rispetto alla sottoscrizione di un consenso informato.

2) LA PIANIFICAZIONE ANTICIPATA DELLE CURE; ADVANCE CARE PLANNING (ACP)

L’ACP dovrebbe anzitutto aiutare a definire quali siano gli obiettivi di cura che si possono e si intendono raggiungere. Tale pianificazione, inoltre, dovrebbe realizzarsi  come processo all’interno della relazione di cura; ciò significa che gli obiettivi della cura dovrebbero essere costantemente discussi e verificati – fintantoché il paziente è sufficientemente in grado di partecipare a tale discussione - soprattutto in relazione a cambiamenti significativi della situazione clinica. È dunque raccomandabile che il medico promuova una pianificazione anticipata dei trattamenti dell’insufficienza renale cronica discutendo con il paziente – e, laddove egli lo consenta, anche con i familiari - la progressione della malattia e i provvedimenti terapeutici che di volta in volta potrebbero essere presi in considerazione. In particolare, si raccomanda di comunicare al paziente che l’evoluzione della malattia può prevedere l’inizio di un trattamento renale sostitutivo che deve essere inevitabilmente preceduto dalla preparazione dell’accesso dialitico. Nella pianificazione terapeutica, al momento opportuno, dovrebbe essere inclusa anche la discussione sulla possibilità di sospendere la dialisi e su altri aspetti relativi alle cure di fine vita. Un percorso di pianificazione anticipata delle cure è più facilmente in grado di adattare i trattamenti alle preferenze dei pazienti i quali, come ampiamente dimostrato letteratura, presentano una notevole variabilità di preferenze nel tempo, variabilità riconducibile talora a fattori circostanziali, ma talaltra a veri e propri cambiamenti nel modo di vedere i “valori” centrali dell’esistenza.

3)  LA RILEVANZA ETICA DEI FATTORI PROGNOSTICI (ETÀ, COMORBIDITÀ, PROGNOSI, PAZIENTE CON COMPROMISSIONE COGNITIVA)

Età. Considerata isolatamente, l’età non è un criterio rilevante per la decisione clinica e certamente non deve agire come fattore di per sé discriminante nell’accesso al trattamento dialitico. Tuttavia, il fattore dell’età dovrà essere preso in considerazione nel processo decisionale nella misura in cui è in grado di modificare (a motivo dello status funzionale ad esso associato) il grado di rischio e di beneficio del trattamento medico. Inoltre, bisognerà tenere presente che la persona anziana presenta una molteplicità di bisogni assistenziali specifici, non sempre adeguatamente riconosciuti e soddisfatti in setting particolarmente tecnologizzati come quello della dialisi; pertanto, soprattutto nella persona anziana, è richiesto che ci si adoperi attivamente per una cura globale (comprehensive care), che non si limiti ad un focus esclusivamente di tipo biomedico

Comorbidità. Per i medici non è facile predire tanto la sopravvivenza quanto la qualità di vita di pazienti con gravi morbidità associate. Appare necessaria quindi una valutazione che tenga conto dell’interazione tra le diverse comorbidità con il trattamento dialitico e una ponderazione della gravosità del trattamento per il paziente.

Prognosi. Una serie di parametri di laboratorio e di score funzionali (Karfosky, SF-36, Charlson index, albuninemia ) possono essere predittivi della prognosi quoad vitam  a medio e breve termine. La prognosi andrebbe, dunque, inserita nel contesto della situazione clinica ed esistenziale del paziente. A questo scopo risulta utile un approccio di SDM, come prima richiamato, perché poche settimane o mesi di vita possono essere importanti per il paziente, ma possono anche diventare un prolungamento gravoso e fine a se stesso di un vita con un rapporto benefici/rischi molto sbilanciato.

Pazienti con compromissione cognitiva. Poiché  il trattamento dialitico necessita della collaborazione o per lo meno della non opposizione al trattamento da parte del paziente, lo stato mentale del paziente sembra essere l’unico fattore non clinico ad avere un’influenza sulla decisione di iniziare o meno un trattamento dialitico. Le persone con gravi disabilità cognitive dovrebbero ricevere gli stessi standard di trattamento delle persone con capacità cognitive conservate. Il non inizio/sospensione del trattamento dialitico dovrebbe essere un’opzione motivata dal rispetto della dignità del paziente, per evitargli inutili sofferenze, e non un semplice diniego dovuto alla condizione di compromissione delle capacità cognitive.

4)  IL RIFERIMENTO TARDIVO ALLO SPECIALISTA; LATE REFFERAL

Il late referral ha gravi ripercussioni anche sul processo decisionale, dal momento che la condizione di urgenza non consente una pianificazione delle cure discussa e condivisa tra medico e paziente. Infatti, il paziente precipita in una situazione a cui non era adeguatamente preparato, spesso senza figure mediche di riferimento e senza il tempo di dare il giusto valore ai vari fattori in gioco.

5) LA DIALISI DI PROVA; LIMITED TRIAL DIALISI

In caso di prognosi incerta, in relazione all’efficacia o alla tollerabilità del trattamento o alle comorbidità del paziente, si può considerare l’opportunità di un breve ciclo di dialisi di prova (time-limited trials of dialysis). Questo può essere utile per verificare l’efficacia e la tollerabilità del trattamento da parte del paziente e dei curanti. Tale decisione, tuttavia, potrebbe comportare una difficoltà a definire la successiva sospensione del trattamento.

6) LE CURE PALLIATIVE 

L’indicazione al non inizio o alla sospensione della dialisi non deve trasformarsi in un abbandono terapeutico del paziente, pertanto è opportuno prevedere il ricorso alle cure palliative in nefrologia. Deve infatti risultare chiaro, anche per il paziente e i familiari, che la scelta di non avviare o di sospendere la dialisi, mantiene comunque il personale sanitario impegnato ad offrire tutte le cure palliative e le misure assistenziali volte ad assicurare al massimo grado possibile il conforto fisico, psichico e spirituale del paziente. Le cure palliative non vanno intese semplicemente come una gestione del fine vita, ma piuttosto come un percorso di presa in carico che dia dignità al fine vita di ogni singolo paziente. A questo scopo si raccomanda una presa in carico globale del paziente e della sua famiglia: questo comprende il trattamento del dolore e dei sintomi propri dell’uremia, un supporto psicologico, spirituale, culturale; l’elaborazione del lutto, il supporto ai familiari e ai caregiver. A questo scopo è auspicabile la realizzazione di hospice “nefrologici” dove realizzare questo impegno assistenziale e migliorare la qualità delle ultime fasi della vita

7) LA CONSULENZA DI BIOETICA CLINICA. (CEC)

La CEC può efficacemente inserirsi nel percorso decisionale, aiutando gli operatori sanitari, il paziente e i familiari a comprendere la rilevanza etica di alcuni elementi della situazione clinica al fine di giungere ad una definizione condivisa dell’appropriatezza etica di un trattamento. In particolare, la CEC aiuterà a calibrare accuratamente ogni trattamento sulla persona del paziente, prestando attenzione alla globalità dei suoi bisogni e cercando di sostenere quelle soluzioni che arrechino un beneficio all’intera persona del paziente. Ciò eviterà di incorrere nel paradosso clinico di sottoporre il paziente ad un trattamento altamente tecnologico, come è appunto la dialisi, trascurando al contempo i suoi bisogni assistenziali più basilari.

Non di rado la decisione di non iniziare/sospendere la dialisi può essere occasione di conflitto tra paziente/familiari e curanti: quando, ad esempio, il nefrologo ritenga che il trattamento sia appropriato mentre il paziente lo rifiuta; oppure, al contrario, quando il nefrologo ritenga il trattamento dialitico non (più) appropriato alla situazione di un dato paziente, mentre il paziente, o più frequentemente i familiari, desiderano che il trattamento venga comunque avviato o continuato.

Nel caso di disaccordo tra medico e paziente/familiari oppure tra gli operatori di una stessa equipe medica, sarà opportuno accertarsi anzitutto che vi sia stata una adeguata comunicazione e comprensione della prognosi e che non vi siano fattori personali che condizionino in modo significativo la scelta.

In caso di disaccordo persistente, la CEC può consentire, attraverso un processo di facilitazione etica, di superare i conflitti relativi alla scelta del trattamento e legati essenzialmente ad una non corretta comprensione dell’appropriatezza o meno di un trattamento in relazione alla situazione clinica del paziente.

 

La presente proposta di linee-guida non ha certamente la pretesa di costituire una soluzione definitiva alla complessa problematica del non inizio/sospensione della dialisi. costituisce una proposta preliminare che si intende sottoporre al contributo della comunità scientifica al fine di ottenere una implementazione quanto più possibile condivisa. A questo proposito i lettori e quanti siano interessati possono inviare commenti e integrazione alla proposta a questo indirizzo email: lineeguida.dialisi@gmail.com

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release  1
pubblicata il  25 settembre 2012 
da N. Panocchia, M Bossola, E Di Stasio², P Silvestri, G Luciani, L Tazza, R. Minacori³, A.G. Spagnolo³
(Servizio Emodialisi, Dipartimento di Chirurgia ²Dipartimento di Biochimica. ³Istituto di Bioetica, Università Cattolica Sacro Cuore, Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica Sacro Cuore, Roma, Italia)
Parole chiave: insufficienza renale cronica, progressione malattia renale cronica, sopravvivenza
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