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Emodialisi

DENOSUMAB: UN NUOVO FARMACO PER IL TRATTAMENTO DELL’OSTEOPOROSI GRAVE IN EMODIALIZZATI

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Razionale

L’osteoporosi è una malattia scheletrica sistemica molto frequente nelle donne in post-menopausa. I farmaci finora utilizzati erano limitati a pazienti con filtrato GFR non inferiore a 30 ml/min. Il denosumab è un nuovo anticorpo monoclonale che interferisce con l’attività degli osteoclasti riducendo il riassorbimento osseo, non viene eliminato per via renale, non richiede quindi adeguamenti posologici  nelle pazienti con IRC. In letteratura non sono riportati studi controllati  sull’utilizzo del farmaco nelle pazienti emodializzate con grave osteoporosi; scopo del nostro studio è stato quindi valutarne l’efficacia e gli effetti collaterali.

Casistica e Metodi

E’ stato somministrato denosumab 60 mg s.c. a 4 donne in HD età > 70 anni  affette da osteoporosi grave valutata all’ultrasonografia falangea (T-SCORE <3.2), previa valutazione dei livelli ematici di calcio (media 8.65 mg/dl), Ca++ (media  1.12 mmol/L), PTH (media 208 pg/ml) e vitamina D (media 4,89 ng/ml).

Risultati

Delle 4 pazienti 2 hanno mostrato riduzione della calcemia rapidamente corretta con calcio e calcitriolo per os; una non ha avuto ipocalcemia; in un caso è stato osservata invece ipocalcemia grave (fino a 6.4 mg/dl Ca++ 0.78 mmol/L dopo 40 giorni dalla sommistrazione del farmaco) asintomatica che ha necessitato di un progressivo incremento della terapia  con Ca per os e calcitriolo ev. L’efficacia del farmaco sul grado di osteoporosi, dopo sei mesi dalla prima somministrazione, è in corso di valutazione tramite ultrasonografia falangea

Conclusioni

Nella nostra esperienza il denosumab è un farmaco valido nel trattamento dell’osteoporosi grave nelle pazienti in dialisi poiché non  richiede adeguamento posologico. L’ipocalcemia grave asintomatica si è presentata in una sola paziente (25%), così come riportato in letteratura. Un accurato monitoraggio della calcemia e del Ca++, anche a distanza di settimane, è indispensabile per adeguare tempestivamente la terapia e per evitare così complicanze più gravi.

M.Tayefeh Jafari1, F. Festuccia1, S. Amendola2, S. Sciacchitano2 , S. Barberi1, C. Fofi1, G. Punzo1, P. Menè1
((1) Dipartimento Medicina Clinica e Molecolare, Università di Roma “Sapienza”, U.O.C. Nefrologia, Azienda Ospedaliera “Sant’Andrea”, Roma (2) Dipartimento Medicina Clinica e Molecolare, Università di Roma “Sapienza”, U.O C. Endocrinologia, Azienda Ospedaliera “Sant’Andrea”, Roma )
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