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Diabete

LA METFORMINA IN CKD: NOSTRA ESPERIENZA

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Introduzione

L’impiego della metformina (MET) nei soggetti con Diabete Mellito di tipo 2 (DMT2) viene fatto su larga scala, poiché essa interviene positivamente nel miglioramento di diverse componenti fisiopatologiche della “sindrome metabolica” ed ha effetti protettivi “cardio-vascolari”. Il suo utilizzo, tuttavia, è ancora frenato dal timore d’insorgenza di acidosi lattica nei soggetti con Chronic Kidney Disease (CKD). Poiché tali pazienti costituiscono un’ampia percentuale dei soggetti con DMT2, sorge il dubbio sulla “sostenibilità” di un atteggiamento medico diffuso che li priva “tout court” dei suoi benefici effetti, anche quando presentano una CKD solamente di grado lieve-moderato (Figura 1). In Letteratura è riportato (Vasisht KP, Diabetes Obes Metab., 2010) [1] che l'utilizzo della MET comincia a diffondersi anche per il trattamento dei soggetti con CKD, data la bassissima incidenza di acidosi lattica, con l’auspicio che le raccomandazioni espresse dalle “Linee Guida” debbono essere riviste e modificate.

Recentemente i dati della Cochrane Review (Salpeter SR, Cochrane Database Syst Rev., 2010 [2]), dopo aver valutato, in pazienti con DMT2, il rischio di incorrere in uno stato di Acidosi Lattica (AL), fatale e non fatale, attribuibile all’uso di MET, in confronto ad altri farmaci ipoglicemizzanti o al placebo, nonché i livelli ematici di Lattato, misurati tanto a livello basale quanto durante il corso del trattamento farmacologico con MET, hanno fatto concludere che la differenza di rischio per la terapia “MET” in confronto alla terapia “non-MET, calcolata usando la statistica di Poisson, era 0.00 per 100.000 pazienti/anno.

A tale conclusione si è arrivati rilevando che il limite superiore per la vera incidenza di AL da MET è di 4 casi ogni 100.000 pazienti/anno, a fronte di 5 casi per gli altri trattamenti antidiabetici “non biguanidici”. Nei trials che misuravano il Lattato, infine, non erano state rilevate  differenze significative per la MET in confronto al placebo o altri trattamenti “nonbiguanidici”. In un recente lavoro (Kajbaf F, Pharmacoepidemiol Drug Saf,. 2013 [3]) viene evidenziato che in 3 linee guida internazionali, 31 linee guida nazionali, e 20 proposte nella letteratura scientifica, i criteri per l’utilizzo della MET in relazione alla funzionalità renale, erano rigidamente basati sulla interruzione della terapia con MET in base ad una “soglia”, basata sul valore della  creatinina sierica o sulla velocità di filtrazione glomerulare (GFR) “stimata”, piuttosto che sull'aggiustamento della dose, anche in pazienti considerati “stabili”, così come si procede generalmente per tanti altri farmaci escreti dal rene. In tale contesto, abbiamo ritenuto di poter riferire la nostra esperienza di clinical pratice sull’impiego della MET nei soggetti con DMT2 con CKD, analizzando una popolazione di soggetti nefropatici afferenti ad un ambulatorio specialistico nefrologico in cui la “personalizzazione” della terapia farmacologica e l’attento monitoraggio del paziente contemplava l’utilizzo della MET fino allo Stadio IV K/DOQI della CKD.

Casistica e Metodi

Abbiamo osservato in un periodo di 15 aa. una coorte di 248 soggetti con DMT2 e CKD in vari stadi. Ogni soggetto, oltre a ricevere le attenzioni “nefrologiche” veniva inserito in un programma collaborativo nefro-diabetologico, tanto più intensivo quanto maggiore risultava il grado di progressione della CKD (Figura 2). In via preliminare venivano esclusi dalla terapia con MET quei  soggetti predisposti a sviluppare AL per “altre cause” (epatopatia, insufficienza cardiocircolatoria, insufficienza respiratoria, infezione cronica, uso di bevande alcoliche, uso di farmaci acidificanti). Per tutti gli altri è stata fatta la scelta di mantenerne l’uso, tanto da sola quanto in associazione con altri antidiabetici orali e/o insulina, fino a valori di GFR stabilmente < 30 ml/min. Per ognuno dei soggetti trattati veniva rilevato, nell’ambito dei parametri di laboratorio previsti per il follow up nefrologico, accanto alla bicarbonatemia, al pH ed agli elettroliti sierici, anche il dosaggio del Lattato.

Risultati e conclusioni

Non è stato osservato il verificarsi di casi di acidosi lattica, né di alcuna situazione a rischio di sviluppo di tale pericolosa alterazione metabolica. Riteniamo che si debba riconsiderare la “ritrosìa terapeutica” a trattare con MET i nefropatici con DMT2, purché sia sempre elevata la “sorveglianza globale” di tali soggetti, notoriamente ad elevato grado di “complessità dismetabolica”.

release  1
pubblicata il  15 settembre 2013 
da Antonella Bruzzese¹, Maria Pasquale², Alessandra Persichini³, Gennaro Rondanini³
(¹Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica, Roma; ²Ospedale Taurianova-Polistena, ASP 5 Reggio Calabria; ³Policlinico “R. Silvestrini”, Università di Perugia)
Parole chiave: diabete, malattia renale cronica
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