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Accessi vascolari

LA RIMOZIONE ENDOVASCOLARE DI UN CVC A PERMANENZA MALFUNZIONANTE. UN CASO DI DIFFICILE RISOLUZIONE

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Introduzione

Il progressivo incremento dell’età media dei pazienti in dialisi e la difficoltà spesso a reperire un sistema vascolare adeguato al confezionamento di una fistola artero-venosa (FAV), ha determinato in emodialisi un uso sempre più frequente del catetere venoso centrale (CVC) a permanenza. Di conseguenza, sono aumentate le complicanze come le infezioni e le trombosi venose ma anche i malfunzionamenti da trombosi intrinseche ed estrinseche al catetere con quadri di Fibrin Sleeve che arrivano fino a circoscrivere il tip terminale del catetere (trombi a palla, trombi murali) e solitamente sono la conseguenza di un ridotto flusso venoso (rapporto diametro vena /catetere) e/o di una prolungata cateterizzazione (uno dei fattori più rilevanti in quanto determina un danno dell’endotelio a livello dei vari punti di contatto con il catetere). Diversi sono i trattamenti utilizzati per preservare (lock con eparina e citrati a diverse concentrazioni) e ripristinare (terapia meccanica con filo guida o brush per biopsia ureterale, terapia fibrinolitica con Urokinasi) la pervietà dei CVC ma non sempre risultano efficaci, tanto da dover, in alcuni casi, rimuoverli e sostituirli.

Caso clinico

Donna di 50 anni, in trattamento emodialitico da circa 3 anni, portatrice di un CVC di Tesio in vena giugulare sx, quale ultimo accesso vascolare per emodialisi a causa dell’esaurimento del patrimonio vascolare periferico secondario a pregresso linfoma di Hodgkin radio e chemio trattato. Il CVC era noto, sin dall’epoca del suo impianto, per avere la cannula venosa correttamente posizionata in giunzione atrio-cavale destra e invece la cannula arteriosa in vena anonima di destra anziché in vena cava superiore (fig.1, fig.2). Gli infruttuosi tentativi di riposizionare la cannula arteriosa e tuttavia l’osservazione di buoni flussi ematici ottenuti in corso di dialisi, avevano fatto soprassedere all’dea di sostituire su guida il CVC, fino a quando, dopo circa 2 anni, si assisteva ad una progressiva e completa ostruzione della cannula dislocata, nonostante i diversi trattamenti meccanici e fibrinolitici. Si procedeva, pertanto, al tentativo di rimozione chirurgica della cannula arteriosa ma che risultava impraticabile per la dimostrazione alla successiva angio-TC del completo inglobamento del tip e di buona parte del catetere (circa 5 cm) alla parete del vaso (fig.1, fig.2). La scelta di lasciare in sede la cannula dislocata anche per le prospettive di trapianto della paziente, veniva abbandonata mentre si proponeva il caso alla radiologia interventistica per un tentativo di rimozione endovascolare del CVC. Uno stent con accesso vascolare attraverso la vena succlavia di destra veniva condotto in vena anonima destra fino a raggiungere il tip del CVC. Contemporaneamente un palloncino da angioplastica gonfiato nel lume del CVC, permetteva allo stent di procedere attraverso la parete del vaso fino ad ottenere la liberazione del CVC e la successiva estrazione percutanea (fig.4).

Conclusioni

Questo caso clinico dimostra come il fenomeno del Fibrin Sleeve (fig.3), in presenza di fattori predisponenti come la prolungata cateterizzazione e il ridotto flusso venoso (rapporto diametro vena /catetere), possa condurre a fenomeni di aderenza tissutale pericolosi e di difficile risoluzione e suggerisce di correggere prontamente le dislocazioni accidentali del CVC in vasi venosi non adeguati. Il successo nella gestione dell’accesso vascolare per emodialisi passa attraverso la collaborazione del nefrologo con il radiologo interventista ed il chirurgo vascolare che lavorano insieme alla strategia per il miglior accesso vascolare per il paziente.

release  1
pubblicata il  25 settembre 2014 
da M. Martone, E. Beltram, D. Berbecar, E. Boer, M. Bosco, P.L. Mattei, N. Milutinovic
(SOC Nefrologia e Dialisi ASS 2 “Isontina” Gorizia)
Parole chiave: cvc, dialisato, dialisi, emodialisi, lungo termine
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