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Miscellanea

Trattamento sostitutivo od approccio palliativistico: un caso emblematico

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Razionale

Il lavoro descrive il caso di una paziente  con insufficienza renale cronica avanzata in terapia conservativa, al limite del trattamento sostitutivo. La sua particolarità sta nella drammatica situazione clinica ed umana della paziente, che ci ha costretti ad un’attenta riflessione sul quale potesse essere l’approccio più adeguato: conservativo e palliativo o sostitutivo? L'incremento dei pazienti affetti da malattia renale cronica afferenti presso le strutture di riferimento, associato ad un aumento dell'età media della popolazione pone il Nefrologo sempre di più di fronte a problematiche analoghe a quelle che descriviamo. Non a caso la letteratura sull'argomento, con nuovi lavori pubblicati recentemente, suscita negli addetti ai lavori un interesse sempre più spiccato (Formica M - 2014 [1]) (Schell JO - 2014) [2](McKercher C.-2013) [3].

Casistica e Metodi

Si tratta di una donna di 62 anni inviata dal Collega curante alla nostra attenzione per IRC ingravescente. In anamnesi: ipertensione arteriosa pluritrattata da anni, IRC nota dal 2010 (Creatinina 2.12 mg/dl, GFR calcolato all'MDRD 25.43 ml/min al 27.09.10), sordomutismo connatale, ipovisione grave: cataratta completa bilaterale con fundus inesplorabile; diabete mellito tipo 2 in trattamento insulinico, scompensato.
Ma le difficoltà più grandi si riscontravano nella gestione delle turbe comportamentali di cui era affetta la paziente, il tutto aggravato da un contesto familiare difficile e non in grado di supportarla adeguatamente. Nel dettaglio: seguita dal Centro Igiene Mentale dal 1983 in merito ad uno stato disforico reattivo ad un matrimonio contratto con un partner anch'egli sordomuto, rivelatosi conflittuale per l'incapacità della paziente di adempiere alle necessità della vita coniugale. In quel periodo esordirono i disturbi della sfera timica, con successive ricadute a livello comportamentale con condotte aggressive e crisi di agitazione psicomotoria. Il tutto in un quadro di ritardo mentale,complicato ed aggravato nel tempo da sordomutismo, che ha via via determinato un inaridimento della vita di relazione con apatia ed ottundimento affettivo interrotti da turbolenze comportamentali. Negli anni successivi si assisteva all'accentuazione del ritiro sociale, disattenzione alla propria persona, rifiuto delle cure, alimentazione disordinata, paragonabile ad una condizione autistica e da un progressivo impoverimento di tutta la sfera ideo-affettiva. All'ultima valutazione psichiatrica la paziente si presentava mutacica, con mimica inespressiva, priva di risonanze emotive rilevabili, apatica, vengono descritti episodi di franca oppositività (resistenza passiva ai tentativi di assistenza) ed anche di disforia (facile irritabilità) ed agitazione psicomotoria. La conclusione diagnostica era di quadro di grave ritardo mentale in soggetto con deficit plurisensoriale. Attualmente la paziente è in terapia neurolettica. Inoltre deambula con difficoltà per artrosi coxofemorale (esiti frattura gamba sinistra nel 1989 e femore destro nel 2014).
Si tentava nel 2012 di avviare una dieta ipoproteica (0.7 g/kg) a scopo nefroprotettivo, ma non veniva seguita correttamente. Nonostante i presidi preventivi attuati, la funzione renale regrediva costantemente (all'ultimo accesso in Ambulatorio di Agosto 2014: Creatinina 4.67 mg/dl urea 198 mg/dl, GFR calcolato all'MDRD 10.21 ml/min).

Risultati

Si discuteva collegialmente il caso con gli Psichiatri e gli assistenti sociali (fra l’altro la paziente non ha mai espresso un parere su un eventuale trattamento dialitico) sulle modalità di approccio in caso di insorgenza di stato uremico franco (Peng.T.-2013 [4]). Inoltre, a complicare il tutto, la paziente non ha un tutore legale, nonostante non sia palesemente in grado di intendere e di volere. Si richiedeva quindi urgentemente una delibera presso il Giudice tutelare del Tribunale. Il problema che questo caso ci ha proposto è sulla eticità di procedere a trattamenti intensivi in casi come questo. In queste condizioni è opportuno un approccio palliativistico o è più giusto avviare il trattamento sostitutivo comunque (fra l’altro sedandola ogni volta) (Romano TG-2014) [5].

Conclusioni

Attualmente propendiamo per un atteggiamento il più possibile conservativo. La paziente è clinicamente stazionaria, non si ravvisano urgenze dialitIche nell'immediato, anche se come è ovvio la situazione potrebbe evolvere in maniera repentina. Questo nostro atteggiamento è inoltre supportato dal parere del Tribunale, da quello degli Psichiatri e dei parenti, questi ultimi però condizionati da una situazione di incapacità a decifrare la reale portata delle conseguenze di una scelta piuttosto che dell’altra.

release  1
pubblicata il  28 settembre 2014 
da Tattoli F. De Prisco O. Gherzi M. Falconi D. Marazzi F. Marengo M. Serra I. Tamagnone M. Formica M.
(S.C. Nefrologia e Dialisi ASL CN1, Ospedali di Ceva, Mondovì, Saluzzo e Savigliano)
Parole chiave: approccio palliativistico, emodialisi, trattamento conservativo
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