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Miscellanea

IMPATTO DELLE NUOVE TERAPIE CONTRO L’ HCV IN UN CENTRO DIALISI: CHI TRATTARE?

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RAZIONALE

La prevalenza dell’infezione  da HCV nei Centri nefrologici e dialitici è estremamente variabile.  Alcuni Autori delineano una forbici aperta addirittura fra il 7 ed il 40%. Non è ben chiaro il motivo di questa variabilità, tuttavia il virus dell’Epatite Cronica C rappresenta certamente la causa più comune di danno epatico in pazienti con malattia renale cronica tenendo conto fra questi anche dei dializzati a lungo termine.La storia naturale dell’infezione HCV nel paziente in terapia renale sostitutiva  è difficile da descrivere per tutta una serie di motivi. Fra questi la lenta evoluzione (talvolta anni),  la quasi proibitiva possibilità di risalire all’epoca del contagio,  la lunga asintomaticità nel tempo e le eventuali comorbidità  che ne possono condizionare  il percorso patologico. Ciò che alcuni Autori hanno però osservato in recenti meta-analisi è che la mortalità generale nei pazienti dializzati HCV positivi risulta essere il 34% più elevata rispetto agli altri. A questo dato va aggiunto il fatto che la progressione della malattia epatica HCV correlata nel dializzato procede più lentamente forse  perché con il trattamento renale extracorporeo vengono  rimosse citochine favorenti il processo patologico.Il paziente trapiantato renale con infezione HCV invece, probabilmente a causa dell’immunosoppressione indotta, tende ad evolvere  più rapidamente verso la cirrosi e l’epatocarcinoma.Fin ora la terapia antivirale combinata IFN peghilato (sc in monosomministrazione settimanale) e ribavirina (per os) è stata la terapia di scelta nella popolazione con funzione renale normale . Inizialmente (2008) KDIGO aveva  raccomandato per il paziente dializzato la terapia in monosomministrazione con solo Peg IFN. Successivamente vi è stata l’apertura alla ribavirina che rendeva il trattamento più efficace. Tuttavia quest’ultima doveva essere impiegata solo a basse dosi , con monitoraggio stretto dei livelli di Hb e la raccomandazione  a potenziare  i livelli di EPO. I margini di guarigione da HCV con la terapia di combinazione risulta essere circa del 50%. (Figura 6)

Dopo 25 anni dalla scoperta del virus dell’epatite C  si sta per arrivare ad una offerta di farmaci potenzialmente in grado di guarire la grande maggioranza delle persone che hanno contratto l’infezione. Saranno probabilmente trattabili soggetti in qualunque stadio di malattia epatica. I farmaci innovativi ad azione antivirale diretta  (DAA) rappresentano una svolta perché si tratta di terapie orali, di breve durata e con scarsi effetti collaterali.  Si tratta di sofosbuvir, simeprevir, AbbVie, ledipasvir e daclatasavir. (Figura 4-5)

La ormai imminente disponibilità del Sofosbuvir, molto efficace nell’eradicare l’infezione HCV (98%), pone la domanda su chi trattare. Il Sofosbuvir  infatti ha il vantaggio di poter essere somministrato per os una sola volta al giorno in associazione alla sola ribavirina ed è privo degli effetti collaterali legati al Peg IFN.  Tuttavia il suo costo elevato  (da 48.000 a 64.000 euro per ciclo di trattamento) rende la sua applicazione terapeutica  indirizzata ad un selezionato gruppo di casi. Nell'ambito della sola patologia epatica HCV relata verrà probabilmente data la priorità del trattamento agli stadi più avanzati con rischio di grave scompenso entro 12 mesi.La sicurezza del Sofosbuvir non è stata ancora determinata in soggetti con grave compromissione renale (GFR < 30 ml/min) nonostante la sua eliminazione avvenga prevalentemente per questa via. Non risultano tuttavia evidenti interferenze significative con altri farmaci ed in particolare non richiede aggiustamenti  della dose nei pazienti che assumono ciclosporina e tacrolimus e ciò rappresenta  un grande vantaggio per i pazienti trapiantati renali.

Sofosbuvir (SV) esercita la sua azione antivirale con un meccanismo differente e più efficace rispetto a boceprevir e telaprevir, in quanto è un nucleoside inibitore non delle proteasi virali, ma della polimerasi NSB5.

Casistica e Metodi

Nel nostro Centro la popolazione dialitica, tendenzialmente ultraottantenne, è di 210 pazienti di cui 5 (2,3%) risultano affetti da infezione HCV.

Nell’ambito della popolazione trapiantata, 126 pazienti complessivamente, 6 soggetti (4,7%) risultano HCV positivi di cui 4 con genotipo 1b.

I soggetti HCV positivi hanno eseguito carica virale (HCVRNA) e genotipo.

La stadiazione della malattia epatica è determinabile attraverso i comuni test di funzionalità epatica, test emocoagulativi e di sintesi proteica. L'Ecografia addominale completa la diagnostica di primo livello e la Esofago gastroduodenoscopia evidenzia eventuali varici esofagogastriche espressione di patologia più avanzata. La biopsia epatica permette di confermare lo stadio fornendo informazioni sul grado di flogosi e soprattutto di fibrosi .Non sempre è eseguibile nei soggetti con coagulopatia. Negli ultimi anni metodiche quali il fibroscan ed elastometria hanno permesso di ottenere più estesamente  informazioni sul grado di fibrosi (F0-F4) perchè non invasive. Nel nostro Ospedale si dispone di metodica elastografica ed è stata eseguita nei soggetti disposti ad accedere al servizio. (Figura1-2)

Risultati

Fra i dializzati quattro soggetti risultano viremici  con genotipo di tipo 1.

Due  pazienti dializzati hanno negativizzato l’RNA: uno è stato trattato solo con IFN peghilato, l'altro con combinata interferone peghilato 135 mcg + ribavirina a basso dosaggio (400 mg/die). (Figura 3)

La severità dell' anemia indotta dalla ribavirina ancor più spinta se in associazione a telaprevir o boceprevir, indicati per il solo genotipo 1, impedisce l’utilizzo di questa combinazione terapeutica nella nostra popolazione.

Tra i pazienti trapiantati due erano stati trattati prima del trapianto (uno con solo interferone convenzionale trisettimanale e l'altro con terpia combinata) senza risposta.

Fra i trapiantati nessuno ha eseguito il trattamento antivirale dopo il trapianto per l'elevato rischio di rigetto.

Conclusioni

Dopo trapianto di rene, non si dispone al momento di una terapia antivirale dell’epatopatia HCV correlata che sia risultata efficace e tollerata. L’interferone, per le sue proprietà immunomodulanti, è stato associato alla comparsa di rigetto sia acuto che cronico nel 15-60% dei casi. Pertanto, il suo utilizzo anche in combinazione con la ribavirina, è stato accettato solo in caso di diagnosi di epatite fibrosante colestatica.

Al momento l’infezione da HCV deve pertanto essere trattata prima del trapianto, considerando anche che le possibilità di risposta sono più elevate nei pazienti con infezione recente.

L’associazione con ribavirina comporta rischio di severa anemia e potrebbe favorire la progressione della fibrosi. Dovrebbe essere riservata solo per quei pazienti che abbiano sviluppato epatite fibrosante colestatica.

Alla luce della nuova possibilità terapeutica con il Sofosbuvir, molto più efficace e con scarsi effetti collaterali, la scelta su chi trattare dovrebbe restringersi a quei pazienti in cui un trattamento così costoso può effettivamente cambiare la storia naturale della malattia HCV relata. In particolare i trapiantati di rene che fin ora non potevano accedere alla cura standard. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8]

BibliografiaReferences

[1] Abboud O, Becker G, Bellorin-Font E et al. KDIGO clinical practice guidelines on hepatitis C in chronic kidney disease acknowledged by ISN. Nature clinical practice. Nephrology 2008 Dec;4(12):648-9

[2] Rendina M, Schena A, Castellaneta NM et al. The treatment of chronic hepatitis C with peginterferon alfa-2a (40 kDa) plus ribavirin in haemodialysed patients awaiting renal transplant. Journal of hepatology 2007 May;46(5):768-74

[3] Toth CM, Pascual M, Chung RT et al. Hepatitis C virus-associated fibrosing cholestatic hepatitis after renal transplantation: response to interferon-alpha therapy. Transplantation 1998 Nov 15;66(9):1254-8

[4] Fabrizi F, Bruchfeld A, Mangano S et al. Interferon therapy for HCV-associated glomerulonephritis: meta-analysis of controlled trials. The International journal of artificial organs 2007 Mar;30(3):212-9

[5] Bruchfeld A, Lindahl K, Reichard O et al. Pegylated interferon and ribavirin in haemodialysis patients. Nephrology, dialysis, transplantation : official publication of the European Dialysis and Transplant Association - European Renal Association 2006 May;21(5):1444-5; author reply 1445-6

[6] Hakim W, Sheikh S, Inayat I et al. HCV response in patients with end stage renal disease treated with combination pegylated interferon alpha-2a and ribavirin. Journal of clinical gastroenterology 2009 May-Jun;43(5):477-81

[7] McHutchison JG, Manns MP, Muir AJ et al. Telaprevir for previously treated chronic HCV infection. The New England journal of medicine 2010 Apr 8;362(14):1292-303

[8] Poordad F, McCone J Jr, Bacon BR et al. Boceprevir for untreated chronic HCV genotype 1 infection. The New England journal of medicine 2011 Mar 31;364(13):1195-206

release  1
pubblicata il  28 settembre 2014 
da U. Gerini¹, S. Leonardi¹, M. Carraro¹, G. Galli¹, M.L. Artero¹, S. Vianello¹, C. Sirch¹, M. Grignetti¹, M. Ianche¹, F. Bianco¹, M.L. Bonincontro¹, E. Bedina¹, V. Di Maso¹, L. Celik¹, M. Buttazzoni¹, I. Filippi¹, S.L. Crocè², C. Abazia², F. Masutti² e G. Boscutti¹
(¹SC Nefrologia e Dialisi, ²S.C. Clinica Patologie del Fegato dell’A.O.U. “Ospedali Riuniti” di Trieste)
Parole chiave: anemia, dialisi, hcv, interferone peghilato, ribavirina, sofosbuvir, trapianto renale
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