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Miscellanea

Risultati di un'indagine conoscitiva nella popolazione scolastica dai 14 ai 20 anni sulle corrette abitudini per la salvaguardia della salute dei reni: avvio di un progetto di peer education-L-

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Introduzione

Il peso crescente della malattia renale cronica, in termini di sofferenza umana e di costi economici, lo rende un importante problema di salute pubblica. Sappiamo come prevenirne o ritardarne l'insorgenza e come limitarne la progressione. Ma i risultati sono insoddisfacenti. È necessario un approccio globale di salute pubblica per affrontare efficacemente questo grave problema (Schoolwerth AC et al 2006 [1] (full text)).

L'importanza della prevenzione è legata al fatto che le nefropatie danno sintomi tardivamente e quando compaiono sintomi spesso il danno renale è già grave. Controllare pressione, diabete e esame dell'urina sono i primi consigli. Ma la prevenzione passa anche dalle buone abitudini quotidiane.

La peer education ("istruzione tra pari") è "comunicazione tra coetanei" ed indica l'influenza reciproca formativa e continua, tra persone di un gruppo. Una persona opportunamente formata (educatore paritario) intraprende attività formative con altre persone sue pari, cioè simili quanto a età, attività lavorativa, genere, status, cultura o esperienze vissute (https://it.wikipedia.org/wiki/Peer_education).

Come metodo d'intervento nell'ambito della promozione della salute e più in generale nella prevenzione dei comportamenti a rischio, è più correttamente traducibile come "prevenzione tra pari".

Queste attività educative mirano a potenziare conoscenze, competenze e atteggiamenti che consentono di compiere delle scelte responsabili e maggiormente consapevoli riguardo alla salute. Lo scopo è quello di ampliare il ventaglio di azioni della persona e di aiutarla a sviluppare un pensiero critico sui comportamenti che possono ostacolarne il benessere psicofisico e sociale e una buona qualità di vita.

Sentire una qualche comunanza con un'altra persona o pensare di condividere con lei gli stessi problemi o le stesse esperienze rendono questa persona un interlocutore credibile, di cui ci si può fidare, e ciò accresce la probabilità che il nostro modo di pensare e di agire ne sia influenzato.

Nel considerare la parità una possibile spinta al cambiamento e con ciò privilegiando una trasmissione orizzontale del sapere, la peer education si colloca come strategia educativa volta ad attivare un processo naturale di passaggio di conoscenze, emozioni ed esperienze tra i membri di un gruppo; un intervento che mette in moto un ampio processo di comunicazione caratterizzato da un'esperienza profonda e intensa e da un forte atteggiamento di ricerca, autenticità e sintonia tra i soggetti coinvolti. Nella peer education, le persone diventano soggetti attivi del loro sviluppo e della loro formazione, non semplici recettori di contenuti, valori ed esperienze trasferiti da un professionista esperto. Questo avviene attraverso il confronto tra punti di vista diversi, lo scambio di idee, l'analisi dei problemi e la ricerca delle possibili soluzioni, in una dinamica tra pari che tuttavia non esclude la possibilità di chiedere collaborazione e supporto agli esperti.

I primi progetti di peer education risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso con alcune iniziative, soprattutto statunitensi, di promozione della salute, prevenzione della droga, facilitazione dell'inserimento scolastico. Una più ampia diffusione di interventi che utilizzano i pari inizia dagli anni Settanta, estendendosi gradualmente in tutto il mondo e nei contesti più svariati, quali scuola, ospedali, carceri, comunità terapeutiche, ambienti lavorativi, palestre, centri di aggregazione giovanile. In modo parallelo, si è verificato un notevole ampliamento dei campi di applicazione della peer education. Se la prevenzione dell'AIDS o delle altre malattie sessualmente trasmissibili rimane l'ambito elettivo d'intervento, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, oggi la peer education si rivolge anche alla prevenzione di altri comportamenti a rischio, cioè comportamenti caratterizzati dal poter compromettere, nell'immediato o a lungo termine, il benessere psicofisico e sociale, quali l'assunzione di droghe o alcool, l'uso di tabacco, la guida spericolata, il bullismo, la violenza, il comportamento alimentare non corretto. L'aspetto preventivo è inoltre variamente accompagnato da quello di promozione della salute e i progetti di peer education comprendono spesso tra i loro obiettivi lo sviluppo di competenze psicosociali come le abilità di comunicazione o l'empatia. 

Un recente sviluppo dei progetti tra pari è l'uso del web per una prevenzione on-line sia dei comportamenti a rischio in generale, sia di quelli più specifici legati all'uso di internet.

Sovente, i destinatari della peer education sono gli adolescenti, in quanto in una fase della vita in cui i cambiamenti da gestire sono molti e profondi; è anche grazie al gruppo dei coetanei che l'adolescente afferma la sua identità, delinea spazi di autonomia dalla famiglia e costruisce relazioni affettive al di fuori di essa. In adolescenza i pari sono spesso gli interlocutori privilegiati cui rivolgersi per cercare informazioni, scambiare consigli, condividere paure ed esperienze, confrontarsi, rappresentando così una potenziale risorsa per superare problemi di sviluppo. La naturale tendenza ad avere influenza sugli altri è organizzata in funzione di un obiettivo educativo: nei progetti di peer education, i giovani imparano l'uno dall'altro, come avviene nella vita di tutti i giorni, imparano da qualcuno che si pone le loro stesse domande e sta affrontando gli stessi problemi, con cui condividono interessi e linguaggio, uno per loro credibile di cui ci si può fidare, perchè sa cosa significa essere un adolescente oggi.

La partecipazione attiva dei giovani nei loro processi decisionali incrementa in modo efficace il raggiungimento non solo degli obiettivi prefissati in quel progetto, ma anche il controllo critico su altri aspetti della vita.

Nuovo terreno di sviluppo della peer education riguarda l'uso dei media, andando così a convergere nella peer & video education, attraverso la progettazione, realizzazione e diffusione da parte dei ragazzi di video finalizzati alla prevenzione e destinati ad altri giovani. Si apre la strada alla sperimentazione, nell'ambito della prevenzione dei comportamenti a rischio, del video inteso come strumento di lavoro per rendere più efficace la peer education. I risultati hanno evidenziato: il rafforzamento della comunicazione orizzontale tra ragazzi, lo sviluppo di un approccio critico ai media, il consolidamento dell'identità di gruppo attraverso l'esperienza collettiva della progettazione e della produzione di video. La peer education, nell'idea iniziale di scambio emotivo ed esperienziale tra pari, e in quella più innovativa di peer & video education, come applicazione di uno sguardo critico e di co-costruzione di un prodotto multimediale, guarda all'adolescente non solo come una risorsa attiva nella prevenzione ma anche come agente di promozione e animazione sociale (Figura 1).

Il primo passo nella progettazione di un intervento di peer education è l'analisi dei bisogni dei destinatari dell'intervento stesso e delle risorse disponibili. L'esame accurato delle condizioni di partenza, possibilmente condotto in modo partecipato con i destinatari, consente di tarare l'intervento su misura rispetto al contesto e far sì che l'intervento venga percepito dai suoi destinatari come rilevante e appropriato ai loro bisogni. In questa fase preliminare vengono dunque stabiliti finalità e obiettivi. Selezionati i peer educator, il gruppo ottenuto viene formato, utilizzando modalità altamente interattive che consentano un apprendimento esperienziale.

Sulla base dell'esperienza di formazione, delle competenze in essa maturate, del sapere locale relativo a quel contesto e alle caratteristiche specifiche dei destinatari che lo abitano, i peer educator ideano, progettano e realizzano iniziative connesse con i temi di salute che ispirano il progetto, in ciò utilizzando gli strumenti di comunicazione che ritengono più adatti ai destinatari loro pari.

I peer educator realizzano un blog o un video, distribuiscono volantini, organizzano laboratori di animazione o conferenze. 

Sono molteplici le teorie che possono spiegare perché e come le persone adottano nuovi comportamenti e che possono essere applicate agli interventi di peer education per comprenderne le ragioni dell'efficacia. 

A dispetto della grande popolarità, le evidenze di efficacia sulla peer education non sono univoche. Di fatto non esiste al riguardo alcun consenso. Tale sistema educativo può esercitare una certa influenza sulle conoscenze, agisce in misura minore sugli atteggiamenti e sulle abilità, ricade sul comportamento soltanto a volte. Gli attuali sviluppi della peer education evidenziano sempre più la necessità che essa si sviluppi come intervento radicato nel contesto e goda dell'appoggio di una rete sociale e politica (Medley, A. et al. 2009)  [2] (Cornish et al. 2009) [2] [3].

L'efficacia di questo metodo educativo in Nefrologia è già stata dimostrata da una precedente esperienza del 2013 a Birmingham finanziata dal Dipartimento della Salute allo scopo di aumentare la consapevolezza dell'importante necessità di organi, sangue e donazione di midollo osseo all'interno della comunità musulmana pakistana della città. Il progetto ha ricevuto un notevole impulso quando un imam dalla influente corsia Moschea verde della città, ha fornito un appoggio chiaro per la donazione di organi all'interno dell'Islam. Questo fu il primo passo molto influente per incoraggiare la comunità a donare e ha provocato una risposta senza precedenti (Birmingham Peer Educator Project) (https://www.kidneyresearchuk.org/research/peer-educator-project). 

Vivere con una malattia cronica richiede educazione e sostegno emotivo. Eppure rispondere a queste esigenze è una sfida sia per il paziente che per il medico. Il tempo della visita ambulatoriale è limitato e non basta per alleviare tutte le paure e rispondere a tutte le domande del paziente, soprattutto ad una prima diagnosi. I programmi che mobilitano il sostegno tra pari può aiutare. Sono efficaci ed economici. Il sostegno tra pari è utile per i pazienti con malattia renale e in dialisi a lungo termine. (Hughes J et al. 2009) [4] (Perry E et al. 2005) [5].

Casistica e metodi

Per sensibilizzare la popolazione sulle corrette abitudini di vita che prevengono le malattie renali, è stata condotta un'indagine conoscitiva mediante un questionario rivolto agli studenti delle scuole superiori (14-20 anni) sulle abitudini di vita acquisite. Argomenti: famigliarità, alimentazione (calorie, proteine e sale), assunzione di liquidi (quantità e qualità), fumo, alcol, uso di antidolorifici antinfiammatori, attività fisica e sportiva.

Dai risultati dell'indagine un'analisi dei bisogni e l'avvio di un progetto educativo tra coetanei.

Risultati

Hanno risposto 1282 studenti (Figura 2).

Circa il 50-60% dei ragazzi ha dichiarato la presenza in famiglia di ipertensione o malattie cardiovascolari e tra il 10 e il 20% di malattia renale.

Le percentuali di obesità e sovrappeso sono sovrapponibili a quanto riportato dalle statistiche nazionali per quella fascia di età. La quota di obesi si riduce infatti dall’infanzia all’adolescenza e raggiunge tra i 18 e i 24 anni il minimo, per poi nuovamente aumentare in età adulta. 

La maggior parte dei ragazzi (dal 60 all’80%) assume un’elevata quantità di proteine animali (dieta ricca di carne, pesce,...) e pochi alimenti vegetali (frutta e verdura, cereali).

Il 50-60% ha risposto di assumere un quantitativo “medio” di sale, mentre tra il 5 e il 10% dichiara di mangiare “molto” salato.

Dal 20 al 30% degli intervistati assume pochi liquidi nella giornata (meno di un litro) ed è piuttosto alta (fino al 15%) la percentuale di coloro che bevono in prevalenza bibite al posto dell’acqua.

La percentuale di non fumatori va dal 65 all’80% dei ragazzi.

Vino e superalcolici vengono utilizzati dal 40-50% dei ragazzi per lo più occasionalmente ma in rari casi molto frequentemente.

Circa il 10% dei ragazzi intervistati risulta assumere antinfiammatori molto frequentemente (regolarmente tutti i mesi).

Più del 60% dei ragazzi si sposta prevalentemente in automobile, moto e pochi vanno a piedi o usano la bicicletta (29%). La maggior parte (32%) non pratica attività sportiva al di fuori della scuola. 

Conclusioni

Problemi renali non sono infrequenti nelle famiglie dei ragazzi e alcune loro abitudini sono possibile causa di danno renale. L'abitudine al sale, l'uso eccessivo di proteine animali e scarso di alimenti vegetali, insieme all'assunzione di pochi liquidi, talora rappresentati esclusivamente da bibite sono alcuni degli aspetti emersi dall'indagine. L'uso degli antinfiammatori quando necessario non sempre è accompagnato da un adeguato intervento educativo nei confronti del farmaco. Il fumo è ancora diffuso e più allarmante è la diffusione dell'uso degli alcolici. Non preoccupa in questa fascia di età il peso corporeo che nella maggior parte dei casi risulta nei limiti di norma e talora anche eccessivamente ridotto. 

La peer education ha le potenzialità di un efficace modello di lavoro con gli adolescenti per lo sviluppo di progetti di prevenzione anche renale, così come lo è stato nel sostegno ai pazienti e loro famiglie nella fase della malattia renale cronica e nella diffusione delle conoscenze per la donazione degli organi.

I ragazzi sono primari attori nella promozione del loro benessere e in azioni di correzione di comportamenti a rischio. Nella provincia è già attivo un progetto di peer education per l'alimentazione, le malattie sessualmente trasmissibili. L'applicazione della metodologia educativa tra pari per la prevenzione delle malattie renali in collaborazione con la prevenzione e sanità pubblica è l'obbiettivo dei prossimi anni in occasione dell'annuale giornata del rene. Confidiamo nella diffusione delle buone abitudini tra i ragazzi finalizzata a prevenire lo sviluppo delle malattie renali ed una maggior consapevolezza del problema all'interno delle loro famiglie. 

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pubblicata il  04 ottobre 2016 
da Cravero Raffaella*, Morellini Veronica*, Maroni Serena*, Bruschetta Elena*, Agostini Barbara*, Karvela Eirini*, Bacchi Maurizio**, Trevisan Paola***
(*Struttura complessa Nefrologia Osp. di Biella ASLBI Piemonte; **Prevenzione e sanità pubblica Osp. di Biella ASLBI Piemonte; ***Direzione Sanitaria Osp. di Biella ASLBI Piemonte)
Parole chiave: prevenzione malattie renali
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